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mercoledì, Apr 19

10 anni fa non l’abbiamo apprezzato abbastanza | Wired Italia



Da Wired.it :

Quando uscì in sala, Oblivion di Joseph Kosinski fu una delusione commerciale, ma dovette fare i conti anche con una critica che si rivelò fin troppo severa, in ultima analisi quasi ostile, nel modo in cui giudicò questo film di fantascienza, che al suo interno aveva una miriade di riferimenti, omaggi a tanti capisaldi del genere. Contemporaneamente, Oblivion cercava di offrire qualcosa di nuovo, in particolare sul tema dell’identità personale, della mancanza di libertà per l’individuo nella società moderna.

Un uomo sperduto su un pianeta in rovina

Oblivion ebbe una gestazione particolare, dal momento che Joseph Kosinski lo creò in quello che inizialmente era un piccolo racconto di 12 pagine, poi diventato grazie a David Nelson e Andrew Wallin, una graphic novel pubblicata dalla radical Comics nel 2010.
Quello stesso anno il regista presentava al mondo un altro film che avrebbe meritato maggior benevolenza: Tron: Legacy, sequel del primo, iconico film degli anni ‘80. Oblivion diventò un film per volere della Universal Pictures, che optò per un iter narrativo che conteneva molti elementi familiari al pubblico, ma anche la capacità di connettersi al genere post-apocalittico, che era tornato in quegli anni prepotentemente di moda. Il risultato finale fu un film atipico, spettacolare certo, ma senza essere solo estetica al contrario del canone hollywoodiano. Soprattutto non era particolarmente ottimista verso la civiltà in generale, ma capace comunque di farsi portatore di una speranza basata sulla fiducia nella diversità e nei sentimenti dell’uomo.

Il film seguiva Jack Harper (Tom Cruise), che nell’anno 2077, assieme alla compagna e collega Victoria Olsen (Andrea Riseborough) ha avuto il compito di monitorare e salvaguardare il funzionamento di complessi macchinari tecnologici, che stanno lentamente risanando il pianeta.
La terra infatti è stata invasa da degli extraterrestri, noti come Scavengers, per sconfiggere i quali sono state usate armi nucleari in modo massiccio, causando la distruzione anche della Luna.
Jack ha frequenti visioni e sogni, dove appare spesso una donna, Julia (Olga Kurilenko) e di base sente che qualcosa gli sfugge, che quel Pianeta da cui dovrebbe andarsene a breve per migrare sul Tet, la nuova colonia spaziale, ha ancora qualcosa da donare. Infine scoprirà l’agghiacciante verità: Sally (Melissa Leo), la loro supervisora dal Tet, è in realtà il nemico alieno che li ha invasi e gli Scavengers sono tutto ciò che rimane dell’umanità, in lotta per riavere il loro pianeta.

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Oblivion ci guidava dentro quello che era una sorta di percorso di illuminazione, di costruzione della propria identità, ma soprattutto di elogio del concetto del sentimento di ribellione, come porta verso la verità. Nella scena cinematografica sci-fi moderna, nessuno aveva sviluppato meglio tale idea della trilogia di Matrix. Jack Harper da questo punto di vista è una sorta di omaggio al Neo di Keanu Reeves, dal momento che fin dall’inizio, appare chiaro che è diverso dalla sua collega, che accetta tutto in modo passivo, ed ha paura di ogni mutamento.
In questo, la sceneggiatura si dimostrò particolarmente interessante, con un crescendo composto da frequenti flashback e plot-twist, con cui prima donava e poi toglieva ogni possibile certezza allo spettatore. Il risultato finale fu un film molto diverso da ciò che il pubblico generalista era abituato ad avere, un’odissea personale che si prestava ad una fantascienza nuovamente esistenziale, ma non per questo imperscrutabile.

Jack, grazie al carisma di Tom Cruise, in Oblivion è qualcosa di più di un banale eroe. Uomo curioso, si aggira per ciò che rimane di uno stadio ricordando l’ultima partita del Super Bowl, colleziona tracce della civiltà terrestre. La verità ufficiale non gli basta più, così come non gli basta la monotonia del suo vivere, quelle giornate tutte identiche, passate contro un nemico di cui in realtà si rende conto di sapere ben poco. La volontà di raggiungere qualcosa di indefinito, il rivendicare la propria identità, sono ciò che veramente lo spinge dentro quella caverna, che segna l’inizio di un percorso di costruzione di senso indipendente. Qualcosa che però risiede esclusivamente in lui, in quanto singola copia, teoricamente uniforme a milioni di altri, creati dell’originale catturato insieme ai colleghi astronauti all’inizio dell’invasione. Ma davvero lui è uguale agli altri? Davvero non può essere diverso? Oblivion nel porre questa domanda, dona una risposta ad una questione attualissima: che cosa ci rende unici? Che cosa ci rende diversi gli uni dagli altri?

Un film a metà tra recupero e volontà di rinnovamento

In Oblivion è possibile trovare una marea di riferimenti ad altri titoli iconici della fantascienza, sia dal punto di vista cinematografico che letterario. La stessa atmosfera ricorda profondamente un capolavoro come fu la Guerra dei Mondi, con il concetto di una civiltà aliena molto più avanzata della nostra, che ci attacca distruggendo completamente il nostro mondo. Ma lo fa dopo averci studiato a lungo, dopo averci compreso o almeno questo è quello che pensa Sally, a cui non a caso viene dato un’identità anche visiva che la rende in tutto e per tutto un erede di Hal 9000, la nemesi di 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, il primo cattivo informatico della storia del cinema, ed assieme anche uno dei più inquietanti.
Come Hal, anche Sally si aggrappa ad un freddissima logica, ma dimostra anche un’arroganza immensa, molto umana. Oblivion tutto questo lo fa usa in funzione di un racconto in cui si parla di una tecnologia in grado di sottomettere l’uomo basandosi sulle sue reazioni emotive più elementari.

Se tale visione non era assolutamente nuova neppure in quel 2013, bisogna però ammettere che Oblivion tutto questo lo approfondì in modo diverso, più intimo, più esistenziale. Sally commette l’errore di pensare che gli uomini sono tutti uguali. Ma Jack non lo è, lo ha sempre saputo, nel momento in cui ritrova Julia, in lui si risveglia una coscienza sopita. Di fatto, mette completamente in discussione tutto quello che pensava di sapere o gli era stato detto. Oblivion rappresenta anche un film sul conflitto in senso sociale. Da una parte c’è un ideale di uomo ligio alle regole, dall’altro quello che le rifiuta in modo inesorabile per il libero arbitrio. Uno scontro che viene simboleggiato proprio nel momento in cui Jack è costretto a confrontarsi fisicamente con un’altra copia di se stesso. Ma andando più a fondo, il suo percorso che infine lo vedrà compiere l’estremo sacrificio per distruggere Sally, è anche un riabbracciare il concetto di comunità, intesa però come quell’uomo nei secoli, la sua essenza che non deve andare persa, gli insegnamenti del passato su come superare le difficoltà.



[Fonte Wired.it]