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sabato, Feb 06

10 giovani fotografe, brave e impegnate, da seguire



Da Wired.it :

Cambiare il mondo con uno scatto. È l’obiettivo di Rhea, Amaal, Sophie, Nika… Tutte under 30, tutte a farsi strada in un contesto, quello della fotografia, ancora maschile. Loro ci riusciranno. Perché c’è chi è già una novella Martin Parr e chi si è guadagnata un posto sul Time e il New York Times

Giovani, carine e impegnate. Sono le fotografe under 30. Quelle della generazione always on. Quelle attente alle mode, ma solo per trarne ispirazione. E quelle con un’impronta artistica già definita, oltre alle idee chiare, perché la fotografia non è solo bellezza fine a se stessa, è anche messaggio per abbattere confini, disparità e muri. Nell’immenso mondo del creativity system, ancora troppo attento allo sguardo maschile. non è facile rintracciare perle di bravura. Eppur (qualcosa) si muove: lentamente negli spazi fisici, più velocemente in quelli virtuali. Girl Gaze, fra tutti. Fondato da Amanda de Cadenet nel 2016, è una piattaforma multimediale nata per abbattere la preponderanza di fotografi uomini e sostenere la nuova generazione femminile. Non sono da meno Woman Photograph e Paris Photo: la prima è un’organizzazione non profit che dal 2017 innalza la voce di fotogiornaliste donne e non binarie, la seconda è la più grande fiera del settore che con Elles (nel 2020 solo virtuale a causa delle restrizioni dovute alla pandemia) ha riunito su una piattaforma digitale quaranta sguardi femminili. Grazie a tali iniziativa e alla capacità, gli scatti di questi astri nascenti delle fotografia mondiale stanno già andando lontano, invertendo il trend del mondo della creatività. Molte di loro, attente a utilizzare molteplici linguaggi, come la scrittura e il video, stanno già conquistando brand e spazi fino a oggi aperti solo ai grandi nomi. Noi ne abbiamo selezionate 10, perdonateci le dimenticanze (e segnalatecele).

Rhea Dillon, 24 anni

Artista a tutto tondo, è anche regista e scrittrice. Per la sua tesi di laurea alla Central Saint Martins di Londra ha presentato The name I Call Myself, un video che potrebbe essere definito il manifesto della sua poetica: dare voce alla comunità nera inglese, in particolare a quella Lgbtq. La sua arte ruota attorno all’Afrofuturismo umano, ovvero un’analisi dell’essere nero all’intero dell’attuale società suprematista bianca. Per avere 24 anni, Rhea ha le idee chiare, ed è per questo che ci piace. Compito dell’arte è smuovere gli animi dell’intera collettività: lei lo fa con i video e le parole, e anche con la fotografia s’intende. Afrogiamaicana britannica di seconda generazione, negli scatti del suo viaggio sull’isola caraibica dove vive ancora parte della famiglia c’è uno spezzato nuovo: non cartoline in cui il colore nero, verde e giallo della bandiera dominano su tutto, ma ritratti degli abitanti, luoghi sconosciuti, la casa del nonno, il territorio che a molti dei suoi antenati è stato sottratto per colpa della schiavitù passata.

Amber Pinkerton, 24 anni

A cinque anni capisce che da grande farà l’artista. A otto inizia a fotografare istantanee veloci ad amici e parenti con lo smartphone. A 13, dopo aver ricevuto in dono la sua prima Nikon dai genitori, la consapevolezza: costruendo set arrangiati, prendendo in prestito abiti dall’armadio della madre, scegliendo amiche per modelle, imitando le fotografie dei giornali patinati, in pochissimo tempo Amber riesce nel suo intento e oggi è già una fotografa affermata. Nata e cresciuta a Kingston, in Giamaica, all’età di 19 anni si trasferisce a Londra per studiare. È qui che percepisce come in Inghilterra, ancora oggi, a causa del passato dominio coloniale britannico, le persone nere vengono ancora guardate dall’alto in basso. Consapevole della forza della sua arte, inverte le regole del gioco: i suoi modelli dalla pelle scura spiccano su sfondi colorati o bianchi, il contrasto ne esalta la forza, a dominare sono solo sguardi intesi di chi è ritratto. Amber, che ancora oggi è soggetta a critiche per i suoi modelli dalla pelle così scura, guarda e passa oltre. La strada è questa, la bellezza di uno scatto non è mai fine a se stessa, smuove coscienze e fa riflettere: nessuna razza deve dominare su un’altra.

Amaal Said, 26 anni

La fotografia e la poesia sono un mezzo di guarigione. A pensarla così è l’arista danese di origini somale residente a Londra. Con uno sguardo moderno ritrae soprattutto le donne, per di più di colore, quelle con le quali si immedesima. Nei parchi, nelle case, spesso con un oggetto-simbolo identificativo della cultura che le rappresenta. C’è l’esaltazione della bellezza in questi scatti permeati di luce e speranza; di bellezza c’è anche la sua, il suo profilo Instagram è pieno di selfie: viso avvolto dallo hijab e rossetto. Il colore è una presenza importante nel suo lavoro, così per il velo che indossa, così per le labbra rigorosamente truccate. Nulla di casuale: tutti gli insegnamenti con i quali è cresciuta, le restrizioni implicate dalla religione musulmana stanno svanendo, a favore di una donna che con la sua arte ha preso consapevolezza della bellezza, la sua e quella delle altre donne che con questi scatti resteranno in vita per la memoria dei posteri.

Samane Askari, 26 anni

Classe 1995, nata e cresciuta a Yazd in Iran, per lei la fotografia è giornalismo. Fra i suoi soggetti preferiti i giovani, in particolare quelli che hanno deciso di abbracciare lo Zoroastrismo e i principi che ne conseguono: parità fra i sessi, attenzione per l’ambiente e condanna all’oppressione verso esseri umani e animali. Fra i suoi lavori più importanti spicca Flooded History, Flooded Lives, un progetto a più mani, sul ruolo catastrofico, sia a livello naturale che sociologico, della diga Ilisu sul fiume Tigri. Tra i membri più giovani dell’agenzia fotografica Middle East Images, nelle sue istantanee caricate su Instagram è vivo il racconto della sua terra.

Rosa Polin, 26 anni

Nata e cresciuta a Brooklyn, ha alle spalle due mostre personali, quattro collettive e diverse pubblicazioni. Per il Time ha seguito le aspiranti Miss Senior America, donne comuni, aspiranti reginette pronte a mettersi in gioco davanti a una giuria pur di indossare la tanto ambita corona. All’occhio di Rosa non sfugge nulla: i lustrini scintillanti degli abiti, gli sfarzosi gioielli, le unghie dipinte con glitter, le strette di mano prima della fatidica esibizione. Con un occhio attento ci presenta un lato meno conosciuto degli Stati Uniti. Un aspetto sociologico che ritorna anche con Sunburst, un progetto realizzato in Florida durante la Convention of Celebrity Impersonators, un evento quasi ventennale che nasce per celebrare le star dell’entertainment e della politica e a cui partecipano aspiranti Britney Spears in versione Baby One More Time, nuovi Elvis nella iconica tuta bianca con il pavone ricamato. Negli scatti di una Hollywood quasi scomparsa la più imitata è lei, Marilyn di Quando la moglie va in vacanza e Gli uomini preferiscono le bionde.

Lucia Buricelli, 26 anni

I primi scatti a Venezia, la sua città. Senza vergogna e con quella sfacciataggine che gli street photographer devono avere, Lucia ruba ritratti a persone a lei sconosciute. Nulla di costruito, tutto molto spontaneo. In Twins, progetto realizzato a Twinsburg (Ohio) dove si celebra il più grande festival dedicato ai gemelli, spiccano i colori accesi e vibranti, dettagli di abiti e i ritratti (sempre rubati), degni della novella Martin Parr. Sul Time pubblica il suo diario del lockdown fra libri letti, tavola apparecchiata e tricolori appesi; per il New York Times realizza un servizio in cui i protagonisti sono gli animali, anche loro abitanti della Grande Mela. A Lucia Buricelli non sfugge nulla, nessun dettaglio della quotidianità.

Henriette Ebbesen, 26 anni

La realtà non è sempre come appare, nemmeno quella immortalata della più “certa” delle fotografie. A pensarla così è l’artista danese classe 1994 Henriette Ebbesen. Nessun abuso di Photoshop o altri programmi di fotoritocco, usati solo per bilanciare luci e colori. I corpi e gli oggetti distorti, allungati, quasi alieni, nascono sul set, con miracolosi e molteplici specchi posizionati fra esseri animati e non. La ragazza è anche studentessa di Medicina e dopo la laurea seguirà un master per approfondire la relazione tra menti creative e schizofrenia e bipolarismo. “Non per dare una visione romantica ai disturbi psicologici”, dichiara nella sua recente intervista per Coeval Magazine, ma per una migliore comprensione che c’è fra la malattia psicologica e l’estro. Tutte questioni impegnative e impegnate quelle sulle quali si interroga, compresa l’ossessione altrui per la chirurgia estetica, ma non imita Orlan, la più trasformista delle artiste contemporanee che per sollevare il problema si è messa più e più volte sotto i ferri: Henriette, ancora una volta, sceglie specchi per affrontare un tema che ossessiona le donne e gli uomini di oggi.

Sophie Mayanne, 27 anni

Diversità e inclusione: sono i concetti base di questa fotografa inglese. Per Sophie Mayanne la bellezza è ovunque, anche nei difetti. Per questo i modelli e le modelle che pone davanti al suo obiettivo spesso hanno le rughe dell’età che avanza o il ventre alla Venere di Botticelli; possono essere albini e avere l’alopecia. Sophie ha un corpo morbido che non si vergogna di mostrare in pubblico con autoscatti sofisticati e ricercati. Dal 2017 porta avanti un progetto su Instagram dal titolo Behind The Scars, la celebrazione di cicatrici di tutte le forme e dimensioni che nascondono una storia che farà la storia.

Nika De Carlo, 28 anni

Classe 1993, californiana di nascita, cresciuta in una zona deserta del Connecticut, oggi vive e lavora a New York. Diverse pubblicazioni e premi, una mostra personale e due collettive. Nika ha incontrato la fotografia per rifugiarsi dal dolore provato dalla malattia del padre. Legata alla vecchia e cara pellicola in grande formato, i suoi scatti strizzano l’occhio al cinema e rimandano inevitabilmente alla poetica di Nan Goldin. Vita quotidiana e personale, amici intimi e relazioni sono i suoi soggetti preferiti. Con See You In Haven riprende la battaglia personale e del suo compagno per uscire dall’eroina. Non viaggia mai senza la Mamiya 7II, ogni momento potrebbe essere buono per scattare, e senza rifletterci troppo lo fa, perché è l’istino a contare più della tecnica. Questo Nika lo sa.

Giulia Bersani, 29 anni

Cosa rimane è il suo ultimo progetto, un fotolibro in edizione limitata di 100 copie, parzialmente scritto a mano, purtroppo già sold out. Cosa rimane è una storia d’amore, iniziata e già finita. Cosa rimane è un racconto per immagini della vita con Shira, “prima ragazza di cui mi sia permessa di innamorarmi”, scrive la stessa Giulia. Cosa rimane è anche la foto di apertura di questo articolo insieme alle altre scattate durante il primo lockdown: paure vissute e affrontate insieme, attacchi di panico della compagna, dettagli, volti e malinconia. Non è la prima volta che Giulia parla d’amore, di coppie ne ha fotografate diverse con Lovers e Lovers II, progetti diventati sempre libri, sempre autoprodotti, sempre sold out, e dove il tema centrale è l’ossessione di avere sempre qualcuno accanto. Giulia è una delle fotografe più promettenti della scena italiana, è la nostra Ryan McGinley, che sa entrare nell’intimità senza privarci di poesia e romanticismo.

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[Fonte Wired.it]