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martedì, Mar 09

100mila morti: il numero simbolico che ci riporta alla tragedia reale che stiamo vivendo



Da Wired.it :

Da quando è esplosa la pandemia abbiamo cominciato a contare il tempo in modo diverso: non per date ma per bollettini, non per giorni ma per numero di decessi. La quota raggiunta – e superata – deve essere un monito a non lasciarci scivolare nell’apatia

Un anno fa a quest’ora ci stavamo ripetendo che sarebbe andato tutto bene. Ma i decessi per Covid-19 erano in crescita, il 9 marzo del 2020 avevamo toccato quota 463 e quello che già appariva come un dramma in realtà era solo un piccolo trailer dell’incubo in cui stavamo per essere proiettati. Un anno dopo niente è andato bene e i morti della pandemia hanno superato la quota simbolica di 100mila, ma in realtà sono molti di più se a essi sommiamo tutte quelle persone che sono morte nel silenzio a causa del problema di tracciamento, ma anche i deceduti per altri motivi ma la cui sorte è dipesa in qualche modo dallo stress che sta vivendo il sistema sanitario.

(Photo by Salvatore Laporta/KONTROLAB/LightRocket via Getty Images)

In un anno è come se fosse scomparso un capoluogo di provincia come Ancona. Non che prima non si morisse, ma la teoria secondo cui il 2020 ha visto un numero di decessi non poi tanto diverso dagli anni passati e che il Covid-19 non è altro che un’influenza un po’ più aggressiva è stata smentita per l’ennesima volta nei giorni scorsi. Nel suo rapporto Impatto dell’epidemia COVID-19 sulla mortalità 2020, l’Istat ha analizzato i decessi avvenuti lo scorso anno e il numero si è attestato a 746.146. Circa 100mila in più – il 25% – degli anni precedenti, quello stesso 100mila che oggi ritroviamo proprio tra i decessi a causa della pandemia.

Ma questi sono solo numeri e soffermarsi sui numeri significa cancellare le storie che ci stanno dietro. Oggi non è cambiato niente rispetto a ieri perché 100mila non è più grave di 99mila, ma solo una faccia della stessa tragedia. Una delle conseguenze che questo maledetto ultimo anno ha avuto sulla nostra psicologia è che ormai restiamo indifferenti davanti alla strage, perché l’abbiamo interiorizzata, si è trasformata nella nuova normalità. I bollettini quotidiani sono diventati schedine da consultare freddamente alla sera, per poi chiudere la pagina con il sorriso se i morti sono meno di quelli del giorno prima, come se 200 al posto di 400 fosse la soluzione del problema.

È il nostro modo di elaborare il trauma, un’apatia ora momentaneamente interrotta dal valore simbolico di quel 100mila che ci ha ricordato i tempi che stiamo vivendo e ci ha obbligati in qualche modo a prestare nuovamente attenzione a dati che ormai erano sempre più relegati a trafiletti nella nostra quotidianità. Da domani però tutto tornerà come prima e le cifre continueranno a scorrere silenziose, probabilmente anche per la stanchezza emotiva di tutti noi, in quella che si è trasformata in una cinica strategia di sopravvivenza.

(illustrazione: Getty Images)

Eppure siamo tutti consci che a quel 100mila ci siamo arrivati attraverso immagini e storie ben più tragiche del numero vuoto. Le bare sui carri militari a Bergamo, i cimiteri dei senza nome per le persone decedute ma non reclamate perché sole, i lettini nei corridoi degli ospedali sovraccaricati di malati, gli affetti persi a distanza senza che si potesse dare loro un ultimo saluto a causa delle restrizioni geografiche. C’è un puzzle di istantanee a raccontare questi ultimi dodici mesi, condito dai tanti errori commessi nella gestione dell’emergenza a livello nazionale e regionale, tra zone rosse mancate, collasso dei sistemi di tracciamento e riaperture forsennate. Mentre ognuno si organizzava a modo proprio per resistere nella tragedia, l’attesa collettiva era per un vaccino che appariva un miraggio ma che da qualche mese è diventato realtà. Eppure la conta dei morti va avanti, come e più veloce di prima, non solo perché il virus muta e impara a infettare in modo più chirurgico, ma anche perché le somministrazioni ci sono ma non vengono effettuate come dovrebbero a causa di piani vaccinali monchi la cui responsabilità attraversa tutta la piramide istituzionale.

Se per noi cittadini quel 100mila suona come una sveglia che ci riporta sul pianeta Terra dopo aver fatto finta che le cose stessero andando bene, per chi ha in mano le redini del paese quel numero e la rilevanza simbolica che si sta portando dietro deve essere un monito, una sorta di alert, del fatto che non c’è altro tempo da perdere siccome se n’è già perso troppo. Facciamo che non si debba aspettare il prossimo numero tondo per dare una svolta alla gestione della pandemia.

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[Fonte Wired.it]