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sabato, Apr 11

20 canzoni contro lo sconforto da coronavirus (la nostra playlist)



Da Wired.it :

Da Here Comes The Sun dei Beatles a Where The Streets Have No Name degli U2. In mezzo: altrettante “good vibrations”. Una richiesta: seguite l’ordine di ascolto che vi proponiamo qui

Good vibrations”. Ora più che mai. Ecco perché abbiamo preparato una playlist di canzoni-tiramisù da ascoltare in questo lungo weekend pasquale. Si comincia in tranquillità, si prosegue con qualche pezzo da ballare e poi gran finale rock. Proprio come a una festa.

1. Here Comes The Sun (The Beatles)

Forse, una delle canzoni più ottimistiche di sempre. Del 1969, è tratta da Abbey Road, è nata in un pomeriggio assolato di primavera, nella casa nel Surrey di Eric Clapton e consacra definitivamente George Harrison come grande Autore, alla pari di Lennon e McCartney. “Piccolo tesoro, è stato un inverno duro e malinconico, sembra che sia durato per anni. Ecco che arriva il sole, e dico che andrà tutto bene”.

2. Good Vibrations (The Beach Boys)

In una classifica sui pezzi che fanno stare bene, Good Vibrations dei Beach Boys sta giustamente ai primissimi posti. Brian Wilson l’ha scritto pensando alla mamma, che gli aveva detto che i cani avvertono le “vibrazioni” degli esseri umani. Uscito nel 1966 e poi incluso nell’album Smiley Smile l’anno successivo, è una “sinfonia tascabile” ottenuta registrando 30 minuti di varie sezioni e poi montandole insieme per tre minuti di pura gioia. “Mi piacciono i vestiti colorati che indossa. E il modo in cui la luce del sole gioca sopra i suoi capelli. E sento il suono di una parola gentile sul vento che porta il suo profumo attraverso l’aria”.

3. Piece Of My Heart (Janis Joplin)

Non tutti sanno che questo brano è stato scritto per la sorella di Aretha Franklin, Emra Franklin, nel 1967: per tutti è sinonimo di Janis Joplin, che nel 1968 ha realizzato una versione rock per l’album Cheap Thrills, con i Big Brother And The Holding Company. “Prendi un altro pezzo del mio cuore, baby. Infrangilo! Tu sai di averlo se ti fa sentire bene”.

4. Three Little Birds (Bob Marley)

Non può mancare Bob Marley, perché è l’artista della “Rastaman Vibration, positive” e perché in Three Little Birds, del 1977 nell’album Exodus, ripete quello che è il mantra dei nostri giorni, “Every little thing gonna be alright”, “ogni piccola cosa andrà bene”. L’artista ha scritto la canzone nel suo cortile a Kingston in Giamaica, dove, ogni volta che rollava uno spinello, tre uccellini venivano a beccare i semi che cadevano… “Mi sono svegliato stamattina, sorridente con il sole che stava sorgendo, tre uccellini erano seduti sul gradino della porta cantando dolci canzoni”.

5. Good Times (Chic)

Alziamo il ritmo per cominciare a ballare: Good Times degli Chic è il pezzo disco per eccellenza. Album Risqué, 1979, il testo si basa su una vecchia canzone, About A Quarter To Nine, resa famosa da Al Jolson: le parole, nate durante la Grande Depressione, erano adatte anche alla crisi di quegli anni. “Bisogna mettere fine a questo stress e conflitto. Bei tempi, questi sono bei tempi”. Ma qui c’è uno dei giri di basso più famosi della storia, che ha ispirato Rapper’s Delight della Sugarhill Gang e anche Another One Bites The Dust dei Queen.

6. Rapper’s Delight (Sugarhill Gang)

È il singolo di debutto, nel 1979, della Sugarhill Gang e una delle prime canzoni rap della storia. Vive proprio su quel famoso giro di basso della precedente Good Times di Bernard Edwars, e sulla chitarra di Nile Rodgers. Le parole con cui inizia sono passate alla storia: “I said a hip hop, a hippie, a hippie to the hip hip hop”. Rapper’s Delight è stato rifatto da moltissimi rapper, tra cui Ol’ Dirty Bastard e i Beastie Boys.

7. Groove Is In The Heart (Deee-Lite)

Se parliamo di bassi pulsanti in grado di alzare i battiti del cuore e pompare adrenalina, parliamo dell’attacco di Groove Is In The Heart, hit del 1990 dei Deee-Lite. Le parole con cui inizia sono un manifesto: “We’re going to dance and have some fun!” (“Stiamo per ballare e divertirci!”). Strano ma vero, sono prese da una registrazione didattica sulla danza orientale. La canzone vive su vari campionamenti, tra cui quelli di un brano di Herbie Hancock, ed è un irresistibile mix di house, dance, funk e hip-hop.

8. Buffalo Stance (Neneh Cherry)

Sempre nel 1990 esplodeva la bomba Neneh Cherry, con la sua Buffalo Stance, che mescolava house, hip-hop, R’n’B e pop, qui con il tocco di un grande dj, Tim Simenon, alias Bomb The Bass. “Ci immergiamo ogni volta che balliamo, ti darò amore non una storia romantica, farò una mossa, nulla lasciato al caso, così non farai il furbo con me”, recita il testo. Ma, con quella carica, Neneh Cherry potrebbe cantare (e rappare) qualsiasi cosa.

9. Pump Up The Volume (MARRS)

Alziamo ancora il volume! Pump Up The Volume è l’unico singolo dei MARRS, ma è stato fondamentale per l’evoluzione della musica house e dance: univa i ritmi soul a quelli a base di scratch e campionamenti. In quell’anno, il 1987, stava cambiando il nostro modo di andare a ballare, e capivamo che l’avremmo fatto sempre più su pezzi strumentali, elettronici, e su ritmi robotici, ossessivi.

10. Da Funk (Daft Punk)

Ha lanciato, nel 1997, il gruppo francese dei Daft Punk, che va in scena con il volto coperto da caschi e dà vita alla famosa scene nota come French Touch. Niente parole, un solo riff per un pezzo che è un classico della musica house (come è un classico il video firmato da Spike Jonze). Vi ricordate di Nile Rodgers? I Daft Punk lo incontreranno molti anni dopo per Get Lucky

11. Right Here, Right Now (Fatboy Slim)

Poche parole (in pratica “proprio qui, proprio adesso”) e una carica irresistibile sono il marchio di fabbrica di Fatboy Slim, che nel 1988 ha inanellato una serie incredibile di successi, da The Rockafeller Skank a Praise You passando per questa canzone, tutte contenute nell’album You’ve Come A Long Way, Baby. Un successo che ha sorpreso solo chi non sapeva che Fatboy Slim, in realtà, è Norman Cook, deejay e musicista inglese, che aveva già fondato band come The Housemartins, Beats International e Freak Power… Di recente il suo pezzo è stato “mixato” con un discorso di Greta Thunberg.

12. Hey Boy Hey Girl (Chemical Brothers)

Se stiamo sulla scena britannica degli anni ’90 non possiamo non mettere i Chemical Brothers, cioè Tom Rowlands e Ed Simons. Sono gli alfieri del big beat, un suono che fonde techno, hip hop, breakbeat e rock, con sfumature psichedeliche. Hey Boy Hey Girl è un brano irresistibile del loro disco del 1999, Surrender. “Hey boy, hey girl, superstar deejays, here we go!”.

13. Empire State Of Mind (Jay-Z e Alicia Keys)

È il momento di suoni più black, con l’hip-hop del Re Mida Jay-Z e la voce di Alicia Keys. Empire State Of Mind è la loro famosissima canzone del 2009 dedicata a New York. Ascoltandola, pensiamo anche a quando potremo viaggiare. “Si, sono qui a Brooklyn e ora sono giù in Tribeca, proprio accanto a De Niro, ma sarò sempre un teppista. Sono il nuovo Sinatra, e dato che sono arrivato fino a qui posso arrivare dovunque io voglia. Se sei a New York queste strade ti faranno sentire nuovo di zecca, le grandi luci ti ispireranno”.

14. Crazy In Love (Beyoncé e Jay-Z)

Da Jay-Z a Beyoncé, la sua compagna di vita, il passo è breve. Abbiamo bisogno anche della sua energia e della sua voce. Crazy In Love è il singolo di debutto della star, dopo l’esperienza con le Destiny’s Child, ed è realizzato proprio con Jay-Z. Dentro c’è tanto soul e funk anni ’70 e il risultato è travolgente. “Il tuo amore mi fa sembrare pazza ora, il tuo bacio sembra salvarmi ora”.

15. Waiting For Tonight (Jennifer Lopez)

Quest’anno non possiamo non proporvi Jennifer Lopez, perché è stata la grande protagonista dell’halftime show al Super Bowl 2020 con Shakira. Proprio in onore alla sua esplosiva esibizione vi proponiamo Waiting For Tonight, dall’album di debutto On the 6 del 1999. Il video metteva in scena un gigantesco party in occasione dell’arrivo del nuovo millennio. E, forse, potremmo immaginarci una festa per la fine di quello che stiamo passando oggi. “Aspettando stanotte, quando saresti stato qui tra le mie braccia”.

16. Let’s Dance (David Bowie)

Tra i tanti brani di David Bowie scegliamo Let’s Dance, dall’album omonimo del 1983. Siamo a New York nel 1982, e il Duca Bianco vede una foto di Little Richard appoggiato a una Cadillac scintillante con un altrettanto scintillante completo rosso. “Voglio che il mio disco sia così”, dice al suo nuovo produttore Nile Rodgers. Tradotto: deve essere una hit. Quando Bowie suona per la prima volta Let’s Dance a Rodgers è un brano folk e malinconico che non convince nessuno. Ma Rodgers trova l’abito giusto, con un riff di chitarra che suona come un sintetizzatore, percussioni incalzanti, ritmi sincopati. “Balliamo, indossa le tue scarpe rosse e danza un blues. Balliamo la canzone che suonano alla radio”.

17. Rio (Duran Duran)

Questo è uno dei brani-simbolo dei Duran Duran, una band che deve molto a David Bowie (e anche a Nile Rodgers, ma solo qualche anno dopo…). Rio è il brano che dà il titolo all’album del 1982 ed è strepitoso da ballare, per il suo suono, funky e new romantic, ma pure perché evoca fughe in paradisi esotici, sogno di molti di noi adesso. Tutto questo grazie al famoso video, girato nell’isola di Antigua da Russel Mulcahy, che vede il gruppo solcare in barca a vela il Mare dei Caraibi, tra ragazze in bikini e dal corpo dipinto. “Il suo nome è Rio e balla sulla sabbia, proprio come quel fiume che scorre attraverso quella terra polverosa. E quando lei brilla, ti mostra davvero tutto quello che può fare. Oh Rio, Rio, balla per tutto il Rio Grande”.

18. Seven Nation Army (White Stripes)

Dall’album Elephant, del 2003, abbiamo scelto questa canzone non solo per il travolgente riff di chitarra, ma anche perché è stata l’inno della nostra nazionale ai Mondiali 2006 e qui ora c’è tanta voglia di calcio, di partite e di cori allo stadio. Seven Nation Army è opera del genio di Jack White ed è un ricordo d’infanzia: il titolo è la storpiatura di “salvation army”, cioè l’esercito della salvezza.

19. Born To Run (Bruce Springsteen)

Quanti di noi non vorrebbero semplicemente correre? Born To Run è il manifesto di Bruce Springsteen, tratto dall’album omonimo del 1975 ed è il suo primo grande successo. Tutto nasce una mattina, in Tennesse: il Boss è in tour e si sveglia con questo titolo in testa che annota subito. Poi inizia a scrivere, prima alla chitarra e poi al piano, una lettera d’amore per una ragazza di nome Wendy. “Dobbiamo fuggire finché siamo giovani, perché i vagabondi sono come noi, piccola, siamo nati per correre”.

20. Where The Streets Have No Name (U2)

Nasce per essere “la canzone definitiva dal vivo” degli U2, parla dell’esperienza di Bono in Etiopia e vive su un riff di chitarra di The Edge. Lo inseriamo qui perché, in ogni show del gruppo, Where The Streets Have No Name apre un momento catartico, liberatorio. Si cominciano a sentire le note d’organo, e tutto – il palco, lo stadio, il pubblico – diventa rosso. Poi, una volta entrati basso e batteria, completamente bianco: l’alba di un nuovo giorno. “Voglio correre, mi voglio nascondere, voglio distruggere i muri che mi tengono chiuso all’interno. Voglio uscire e toccare la fiamma, dove le strade non hanno un nome”.

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[Fonte Wired.it]