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venerdì, Apr 24

30 anni di Hubble, ecco le principali scoperte del telescopio spaziale



Da Wired.it :

Oggi l’Hubble Space Telescope compie 30 anni, un’età invidiabile per la maggior parte delle missioni spaziali. Nel corso della sua vita sono state centinaia le scoperte scientifiche fatte grazie al suo occhio vigile sull’Universo

Hubble fu lanciato il 24 aprile 1990 e per i primi anni il suo futuro sembrò incerto. Un difetto di progettazione allo specchio principale degradava le immagini così tanto da annullare il vantaggio che si ha nell’osservare l’universo dall’esterno dell’atmosfera terrestre, rendendolo di fatto poco più che inutile. Tre anni dopo, nel 1993, sette astronauti arrivarono a bordo di uno Space Shuttle, riparando ciò che doveva essere riparato. Per farlo eseguirono cinque passeggiate spaziali svolte nell’arco di undici giorni: una delle operazioni spaziali più complesse della storia.

Da quel momento gli occhi di Hubble, e con essi quelli umani, si aprirono sull’Universo in un modo che mai era stato possibile in precedenza. Si può ben dire che quella di Hubble sia stata, e continui a essere, una vita spesa bene, benissimo. Ogni anno il team Esa/Nasa che se ne occupa riceve oltre mille proposte di utilizzo da team di ricerca di tutto il mondo, e di queste vengono selezionate le 250 che più valgono l’investimento in tempo di osservazione.

La principale ragione di tanto interesse è che trovarsi al di fuori dell’atmosfera terrestre significa evitare la distorsione che le turbolenze atmosferiche inducono nei segnali luminosi che vengono dal cielo, dalle stelle, dai pianeti e dalle galassie lontane. Queste distorsioni pongono un limite a tutti i telescopi terrestri, a prescindere dalle loro dimensioni, e da terra questo limite non è superabile se non (in parte) tramite tecnologie estremamente complesse e avanzate.

Tra le innumerevoli scoperte scientifiche che 30 anni di osservazione hanno permesso, ce ne sono alcune particolarmente degne di nota che, oggi più che mai, vale la pena ricordare.

La conferma dei buchi neri al centro delle galassie

Già dagli anni ’60 si ipotizzava che al centro di molte galassie fossero presenti buchi neri, spesso estremamente massicci. Con le misure di Hubble si è stabilito che questa caratteristica probabilmente accomuna tutte -o quasi- le galassie. Inoltre sembra che la massa dei buchi neri centrali e le caratteristiche delle galassie siano strettamente legate: più è grande la galassia, più grande il buco nero.

Galassia fantasma
La galassia ESO 381-12 vista dal telescopio spaziale della Nasa e dell’Esa Hubble (NASA, ESA, P. Goudfrooij (STScI) )

L’età dell’universo

Misurare le distanze è una tra le sfide più complesse in astronomia. Un modo per farlo è quello di osservare le stelle variabili cefeidi, stelle la cui luce varia nel corso del tempo in un modo ben noto e dipendente dalla luminosità massima che raggiungono. Questo semplice fatto permette di conoscere la luminosità intrinseca della stella e di confrontarla con la luminosità che osserviamo da quaggiù, stabilendo la lunghezza del tragitto che la sua luce ha dovuto percorrere.

Misurare le variazioni delle cefeidi tramite Hubble ha permesso quindi di misurare la distanza di molte galassie e, soprattutto, quanto questa distanza aumenti nel tempo come effetto dell’espansione dell’Universo dal Big Bang. Grazie alle misure di Hubble sappiamo che il Big Bang è avvenuto -probabilmente- 13,7 miliardi di anni fa.

Uno sguardo ancora più lontano nel tempo

Guardare lontano nello spazio significa anche guardare lontano nel passato. La luce impiega del tempo a viaggiare nello spazio, e pertanto i segnali luminosi che riceviamo dagli oggetti più lontani sono partiti in epoche molto remote. Uno degli obiettivi di Hubble era proprio quello di approfondire la nostra capacità di osservare oggetti lontani e quindi antichi. Un obiettivo che senz’altro è stato raggiunto. Per esempio, nel 2015, usando i dati di Hubble un gruppo di ricercatori ha scoperto la galassia che ad oggi è la più lontana che conosciamo, GN-z11, situata a 32,1 miliardi di anni luce di distanza.

Nebulosa Bolla
La spettacolare nebulosa Bolla, a 8mila anni luce dalla Terra, immortalata dallo Hubble Space Telescope nel giorno dell’anniversario del suo 26° anno nello Spazio (Credits: NASA/ESA/Hubble Heritage Team)

La vista del Sistema solare esterno

Non tutto ciò che Hubble ha studiato si trova così lontano. Hubble ci ha permesso anche di studiare molti oggetti all’interno del Sistema solare, come Marte, Giove, Saturno, per spingersi poi fino ai giganti ghiacciati Urano e Nettuno e ai pianeti nani come Plutone ed Eris. Sono tutti oggetti che non sono stati scoperti da Hubble, ma che grazie ad Hubble sono stati osservati con un livello di dettaglio che può essere superato solo grazie all’utilizzo di sonde spaziali. Storica resta l’osservazione dell’impatto della cometa Shoemaker-Levy 9 su Giove. Era il 1994, il telescopio era da poco stato riparato, giusto in tempo per osservare questo fenomeno che la statistica vuole si ripeta solo una volta ogni qualche secolo.

Inoltre, Hubble è usato per studiare l’evoluzione degli oggetti nella fascia principale di asteroidi, l’anello di corpi minori che si trova tra l’orbita di Marte e quella di Giove e per cercare oggetti nella fascia di Kuiper, l’anello oltre l’orbita di Nettuno. Di questi ultimi ne ha trovati molti, tra cui anche la famosa scamorza planetaria Arrokoth, visitata dalla sonda New Horizons a gennaio 2019.

La nascita delle stelle e dei pianeti

Le stelle nascono all’interno di nubi di gas e polveri, e lo stesso vale per i pianeti che si formano nei dischi di materiale residuo che circonda le stelle neonate. Hubble da sempre osserva questi luoghi, le fornaci stellari come i Pilastri della Creazione nella Nebulosa dell’Aquila, e i dischi protoplanetari attorno alle stelle neonate in questi luoghi. Solo nella Nebulosa d’Orione, per esempio, ne sono stati trovati oltre 200.

I Pilastri della Creazione, nella Nebulosa dell’Aquila, sono una regione di formazione stellare tra le più famose immortalate da Hubble. Foto: Nasa/Esa

La massa e la dimensione della Via lattea

C’è una galassia che è particolarmente difficile da studiare nella sua interezza: la nostra. Parlare della forma di una nube se ci si trova al suo interno non è impresa facile, dato che non si vede integralmente nella sua struttura, e allo stesso modo studiare le proprietà della Via lattea è complicato, soprattutto a causa della grande quantità di polveri che oscura gran parte della vista. Combinando i dati di Hubble e dell’osservatorio Gaia dell’Esa, nel 2019 è stata raffinata la nostra conoscenza delle dimensioni della Via lattea: 1,5 mila miliardi di masse solari in una galassia con un raggio di 129mila anni luce.

Granchio
La Nebulosa del Granchio, o meglio il suo “nucleo”, ripresa dagli occhi dello Hubble Space Telescope della Nasa (Credits: NASA/ESA)

Tutte le missioni spaziali si pongono obiettivi lontani. Alcune ci arrivano dopo decenni, altre falliscono nell’intento. Quello che è certo è che nessuna è riuscita ad arrivare tanto lontano quanto è riuscito ad arrivare l’occhio del telescopio spaziale Hubble. Ma Hubble non è arrivato solo lontano, è arrivato anche nel cuore delle persone, che grazie alle sue immagini hanno potuto viaggiare nell’Universo e dare un volto a molto di ciò che prima era poco più che un insieme di parole nei libri di astronomia. Tanti auguri Hubble Space Telescope.

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[Fonte Wired.it]