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martedì, Ago 25

5 cose che ci ha insegnato City Hunter



Da Wired.it :

Quindici anni fa usciva la raccolta completa del cartone animato sul mitico Ryo Saeba, creato dal mangaka Tsukasa Hojo. Ecco quali ineffabili perle di saggezza ci ha dispensato il papà del “mokkori”

Lo sweeper City Hunter – in giapponese il suo nome è Ryo Saeba, in francese Nicky Larson, in italiano… City Hunter – è uno dei personaggi seminali dei fumetti nipponici. Il detective burlone, creato dal mangaka Tsukasa Hojo, dall’oscuro passato di mercenario è una figura tanto iconica quanto immortale, al punto che il 31 agosto 2005 ricorre l’anniversario dell’uscita in patria di un desideratissimo e monumentale cofanetto dvd da collezione che raccoglieva, in 32 dischi, l’opera omnia composta dalle quattro serie animate, dagli speciali televisivi e dagli Oav, oltre all’aggiunta di un artbook e delle statuine di Ryo e Kaori. In l’anime approdò nel 1997, solo una decennio dopo l’inizio della programmazione in Giappone, quindi City Hunter, in realtà, fa parte dei cartoni animati degli anni ’80.

I motivi del suo essere mitico sono molteplici: grazie a Hojo, quando ci arrabbiamo, sogniamo che ci spunti tra le mani un martello da cento tonnellate; quando siamo basiti, immaginiamo libellule e corvi svolazzanti; e quando siamo indecisi ci affidiamo al mokkori. Ringraziamo la bravura con cui l’autore ha delineato i personaggi dell’infallibile Ryo, della leale Kaori, della sexy Saeko, dello scontroso Omibozu… Ma la vera ragione per cui City Hunter è indimenticabile è perché è un grande maestro di vita. Ecco cosa ci ha insegnato.

1. Mokkori dice blu

Il mokkori, ovvero lo stato di eccitamento (quasi) costante di Saeba Ryo, è uno stile di vita. Alla fine, l’ex mercenario non ha più vent’anni, e dopo un’esistenza passata tra guerre, ammazzamenti ed esplosioni, ce lo immagineremmo molto meno vitale di come di fatto è nel manga e nel cartone animato. Tutto merito del mokkori, appunto, che lo mantiene bello su di giri e giovanile, anche se non privo di traumatici effetti collaterali. I rischi per la salute del mokkori, provocati dall’ira funesta delle donne che subiscono le sue attenzioni esaltate e un po’ viscide – sebbene innocue, è facile scambiarlo per un maniaco – si manifestano in forma di aggressione fisica. Saeba Ryo viene picchiato spesso, con grossi utensili da carpentiere, borsette, scarpe e altro. Il mokkori è anche una filosofia: quando si presenta una decisione vitale da prendere, come scegliere se tagliare il filo blu o quello rosso di una bomba prossima alla detonazione, questo fenomeno accorre in aiuto fornendo l’intuizione giusta: mokkori dice blu.

2. Il più figo di tutti

Quando Hojo creò City Hunter, fece qualcosa di geniale: al posto di fare dell’assassino riformato uno tsundere o un kuudere (i personaggi dei manga sono suddivisi in categorie caratteriali, come lo scontroso dal cuore tenero, il serio, l’amabile e così via) ne fece… Saeba Ryo: un clown, all’apparenza, più maniaco dell’Ataru Moroboshi di Lamù e più ridicolo di Hanamichi Sakuragi di Slam Dunk. Dietro alla facciata da bello e scemo, cela la natura da ex killer spietato, conforme al suo passato.

Con queste caratteristiche, Hojo ha dato vita a un personaggio sexy e divertente in grado di conquistare anche le lettrici (City Hunter è un manga per ragazzi), macho e cool per i lettori. Altro che quel musone di Ken il guerriero, altro che quel prepotente di Terence di Candy Candy o quel lamentoso del Lowell di Georgie, Saeba Ryo è il più fico di tutti.

3. Non dimenticare il martello

Kaori (in italiano Kreta) è l’assistente manesca di City Hunter. Gelosa fino all’inverosimile e incredibilmente ingenua, da un lato è estremamente infantile e manifesta la sua cotta per il capo con atteggiamenti aggressivi e denigratori, dall’altro è la saggia della coppia, e – per chi ha letto anche Angel Heart – un’amica preziosa e indimenticabile. Kaori non è la segretaria ideale – rifiuta le clienti troppo belle, giovani o sexy, ovvero la stragrande maggioranza dei potenziali datori di lavoro del detective privato – e come assistente di un ex mercenario la sua moralità inflessibile è davvero inopportuna.

Eppure, la sua forza di volontà basta a mantenere Ryo sulla retta via, e con tutte le martellate che gli dà quando fa il maniaco, lo mantiene anche casto (la castità conserva le energie per le missioni). Tutti voremmo nella nostra vita una Kaori, un angelo custode che ci protegge da noi stessi.

4. Il manuale della femme fatale

I ragazzini che leggevano o guardavano City Hunter hanno sognato di incontrare, da grandi, una Saeko (Selena in italiano): supersexy, tosta, letale. La poliziotta che preferisce i coltelli alle pistole come arma d’ordinanza (li nasconde sotto la gonna e li estrae dal reggicalze con sensualità estrema) è una seduttrice nata. Se tutte le donne del mondo avessero imparato da lei, la popolazione maschile etero sarebbe stata assoggettata e vivrebbe in beata schiavitù, perché Saeko ha messo a punto una tecnica infallibile per persuadere Ryo e a fare tutto quello che vuole promettendogli del sesso che non vedrà mai. In realtà, questa vamp apparentemente irraggiungibile cederebbe volentieri alle lusinghe dell’aitante spasimante, ma… non è destino. Per una generazione di fanciulle resta un modello d’ispirazione femminile unico che fonde il girl power e sensualità dirompente.

5. Meglio che resti un cartone

Sono tanti, tantissimi i manga che hanno subito l’adattamento in film o serie live action: da Dragon Ball a Due come noi passando per altre decine di successi. Con l’esclusione di alcune eccezioni – gli strepitosi Boys over Flowers e Meteor Garden ispirati a Hanayori Dango, Kyashan (Casshern) di Kazuaki Kiriya, Yattaman di Takashi Miike – le trasposizioni con i personaggi veri (presente gli agghiaccianti Death Note, Kyashan La rinascita o Lady Oscar?) avrebbero fatto meglio a non venire mai realizzate. Di City Hunter esiste un film di Hong Kong– esilarante, intriso d’azione, ma per nulla fedele all’opera di Hojo – con l’immarcescibile Jackie Chan nei panni dello sweeper, e un k-drama ancor meno fedele con Lee Minho a caccia degli assassini del padre. Entrambi sono produzioni piacevoli, se si ignora la connessione con la fonte, altrimenti Jackie Chan scemotto e bruttarello della versione honkonghese e quella giovanile e smilza con il bellissimo coreano servono solo a ricordare che le trasposizioni live-action dei manga non s’hanno da fare.

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[Fonte Wired.it]