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martedì, Lug 21

5 motivi per cui Boris resterà per sempre un cult senza rivali



Da Wired.it :

È la fuoriserie italiana, unica e inimitabile, che descrive con indomito sarcasmo i dietro le quinte delle produzioni televisive. Netflix l’ha aggiunta alla sua libreria digitale. Ecco perché è così speciale (mentre si vocifera una reunion del cast)

Se quando vi soffermare sulla tastiera del computer la visione del tasto “F4” vi fa venire alla mente la parolabasito”, se per voi “smarmellata” è un tipo di fotografia ovattata e se Stanis La Rochelle è l’uomo dei sogni (o quello da imitare), allora siete autentici fan di Boris, la fuoriserie italiana. Nel 2007 questa superba produzione ha fatto il suo debutto sui canali Fox con una prima stagione – le altre due vengono prodotte fino al 2010, alle quali segue Boris – Il film – e adesso è disponibile per visione, rivisione e ri-ri-rivisione sulla piattaforma digitale Netflix. A oggi la cronaca delle disavventure del regista televisivo René Ferretti impegnato con le riprese quotidiane sul set di un’orrida e improbabile soap opera nostrana, intitolata Gli occhi del cuore, e di tutti quelli coinvolti nella produzione resta un evento unico, originale e forse irripetibile nel panorama seriale locale, un vero fenomeno di culto: ecco perché.

1. Ce n’è solo una

Boris non ha rivali nel nostro Paese, perché niente è come Boris. Gli utenti televisivi italiani all’epoca si potevano ancora sommariamente dividere in campanilisti ed esterofili, ovvero chi prendeva le distanze dalle fiction made in Italy e chi ne era un bulimico consumatore. Boris è stata un produzione tanto amena e tanto difficilmente incasellabile rispetto al resto della serialità da essere, letteralmente, un caso a parte. Le situazioni grottesche e tuttavia fin troppo verosimili, il mix di ironia e sarcasmo, un cast in stato di grazia, un tema – quello del dietro le quinte di una produzione tv pressoché inedito da noi… Dagli Usa, invece, vale la pena menzionare la comica e ai più sconosciuta – in Italia è stata trasmessa da Mediaset a orari assurdi –  On The Air di David Lynch, l’esilarante 30 Rock di Tina Fey e la coreana Producers. Nessuno, tuttavia, contraddistinto dall’amarezza che permea l’atmosfera di Boris.

2. La verità, tutta la verità sul mondo dello spettacolo

Chi lavora nel settore può riconoscere chi sono alcune delle figure del panorama cinematografico e televisivo a cui sono ispirati i numerosi personaggi che si avvicendano nel corso delle tre stagioni e del film (basti pensare alla “sussuratrice” Marilita Loy) e farsi una risata sotto i baffi immaginando la persona in oggetto mentre rimira la propria caricatura. Per tutti gli altri: non fatevene un cruccio, non è necessario riconoscere l’addetto ai lavori e dirsi “aaaah lo sapevo che era lui”, Boris è un calderone di esperienze, ricordi, testimonianze, leggende metropolitane di tutte le situazioni più liminali, incredibili e rigorosamente vere perpetratosi sui set romani e milanesi, e un’occasione irripetibile per lo spettatore per sapere, veramente, come nasce la tv che guarda.

3. Stanis e gli altri

Il regista che sogna il cinema d’autore, ma si riduce a girare soap imbarazzanti e improbabili; gli sceneggiatori copioni e svogliati; l’attore vanesio e mediocre che si sente “hollywoodiano”; l’attrice incapace ma amante del boss (e che non sa pronunciare “gioielliere”); la segretaria di produzione “mafiosa”; il direttore della fotografia scansafatiche e drogato e il suo compare, il capo elettricista sfruttatore a cui “nun va de fa ‘n cazzo”. René, Stanis, Corinna, Itala, Duccio, Biascica sono le figure tipiche che affollano i set italiani, quelle che funzionano grazie allo stralavoro di assistenti di regia solerti e severe, come Arianna, e allo sfruttamento barbarico di stagisti ingenui e ambiziosi tipo il mite Alessandro e lo sgomitante Lorenzo (i cui veri nomi, dimenticati dai più, sono stati sostituiti dai soprannomi Seppia e Schiavo). Ognuno di loro è oggi una figura archetipica e assieme un personaggio unico e vero in cui rivedersi e rivedere la propria carriera professionale.

4. Ci siamo passati tutti

Come accennato, i protagonisti di Boris sono rappresentativi di una realtà – lavorativa e sociale – che, 13 anni dopo il debutto dello show, è ancora la stessa. L’Italia è rimasta il Paese dei dirigenti corrotti, dei capi incapaci e dei capetti inetti figlio/fratello/cugino di qualcuno così come degli impiegati sottopagati, sovraresponsabilizzati e oberati di lavoro e degli stagisti sfruttati a cui non viene insegnato niente se non a mettere da parte i sogni. Boris fa ridere, da morire, ma con l’amarezza sconfortante della migliore e più autentica commedia italiana. Che sia il set romano di Occhi de cuore 2, gli uffici della dirigenza di un canale televisivi o gli studi milanesi degli ex yuppi cocainomani, ognuno di questi ambienti riflette quelli del resto del mondo del lavoro, e ogni spettatore può riconoscersi in uno dei personaggi e nel suo destino.

5. I tormentoni

Dalla sigla di apertura firmata da Elio e le storie tese fino al gergo dei set e ai modi di dire specifici che formano l’idioletto della troupe di René Ferretti, Boris è una miniera di battute mitiche e tormentoni ripetuti all’infinito che sono entrati nel vocabolario dei suoi seguaci. Una “cagna maledetta è un’attrice incredibilmente incapace (e non un insulto con connotazioni di genere, come segnala qualche femminista dell’ultima ora), alla cazzo di cane è la cifra stilistica delle riprese da soap, Dai dai dai è un appello esasperato a portare avanti un lavoro raffazzonato, la “roba troppo italiana è quella che solo Stanis sa identificare, la qualità c’ha rotto er cazzo una ponderata presa di coscienza (di “smarmellamenti” ed “espressioni basite” abbiamo già parlato). Boris ha sfornato più tormentoni dei paninari e del Drive In, tutti più belli, tutti più memorabili. Ricordatevi di chiamare Boris (o Sampras) il vostro pesciolino rosso e di portarlo sempre con voi, un testimone muto e senza pregiudizi della nostra realtà “troppo italiana”.

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[Fonte Wired.it]