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lunedì, Feb 08

5 motivi per sperare che It’s a Sin arrivi presto in Italia



Da Wired.it :

Creata da Russell T Davies, già ideatore di Queer as Folk e Years and Years, questa serie drammatica e vitalissima racconta l’esplosione dell’Hiv negli anni ’80 sfidando cliché e moralismi. Un appello: distribuitela anche da noi

È una delle serie più chiacchierate, ma in misteriosamente (o forse no), ancora non è arrivata. Si tratta di It’s a Sin. Produzione della rete britannica Channel 4 (sbarcata di recente anche negli Stati Uniti) e creata dall’apprezzatissimo sceneggiatore Russell T Davies, affronta un argomento decisamente scomodo per i canoni televisivi tradizionali ma estremamente rilevante e importante anche ai giorni nostri: l’esplosione dell’Hiv negli anni ’80. Lo fa con un’intensità drammatica senza pari e con una ricostruzione estetica liberatoria di un’epoca fondamentale, che ha segnato la nostra società attuale. It’s a Sin è molto importante anche per la rappresentazione della comunità lgbt+ al di là degli stereotipi (e, a differenza di molti altri prodotti televisivi, chiama moltissimi attori omosessuali a interpretare personaggi omosessuali). Forse, i motivi per cui sarebbe importante che questa serie venisse vista dal maggior numero di persone possibili sono gli stessi per cui nel nostro Paese nessuno si è ancora interessato a distribuirla. Nonostante ciò, noi vi raccontiamo perché vale la pena attenderla con grande impazienza. E con l’occasione, lanciamo un appello alle piattaforme di streaming: acquistatela e distribuitela presto.   

1. Il creatore

Russell T Davies è di sicuro uno degli sceneggiatori più apprezzati e innovativi della scena britannica e non solo: è lui il creatore della rivoluzionaria Queer as Folk (che ha avuto poi anche un remake americano) e nel 2005 ha lanciato il revival di Doctor Who. Tra le altre sue produzioni: Torchwood, Cucumber (inedita in Italia) e Years and Years, tutti titoli che hanno segnato il panorama seriale degli ultimi decenni. Grazie a una potente capacità di mescolare toni e registri, Davies tocca soprattutto i temi sociali e relazionali che gli stanno a cuore, pescando abbondantemente dalla propria esperienza personale. Esattamente come in Queer as Folk si è ispirato alle vicende sue e dei suoi amici, anche in It’s a Sin il punto di partenza è il ricordo delle vicissitudini di una generazione con cui Davies ha moltissimi legami. Secondo quanto da lui dichiarato è stato il lavoro per cui ha condotto anche le ricerche più approfondite di tutta la sua carriera.

2. Il tema

It’s a Sin racconta le vicende di un gruppo di giovani omosessuali e dei loro amici negli anni ’80, quella generazione cioè che ha dovuto vivere in prima persona l’epidemia di Hiv, quando ancora di Aids non si parlava se non vagamente o lo si riteneva comunque un flagello meritato per omosessuali e tossicodipendenti. Coprendo il decennio che va dal 1981 al 1991, vengono affrontate senza mezzi termini le conseguenze che quell’emergenza ha avuto sulla vita soprattutto dei giovani gay, minati da una malattia le cui complicazioni erano imprevedibili e per cui non esistevano cure certe, e vessati da una società che coglieva occasioni ulteriori per emarginarli e discriminarli. Pur nella sua confezione narrativa di fiction, It’s a Sin si mostra anche come un documento storico di grande importanza, permettendo agli spettatori di oggi di aprire gli occhi rispetto alla portata di certa omofobia, ancora radicata in certi ambiti. Secondo i media inglesi, poi, la serie ha portato a un aumento considerevole dei test Hiv, obiettivo per cui la sensibilizzazione non è mai abbastanza.

3. I protagonisti

It’s a Sin è una serie drammatica e dolorosa, che però non si abbandona al compiacimento tragico anche grazie a interpretazioni magistrali.Come quella del cantante della band Years & Years, Olly Alexander, nei panni di Ritchie Tozer, adolescente che si trasferisce a Londra per vivere appieno la carriera d’attore e la liberazione sessuale: il suo atteggiamento edonista e persino negazionista lo espone a pericoli inimmaginabili, ma accompagna gli spettatori in una parabola che è sia lancinante sia umanissima. Fra gli altri personaggi, una menzione speciale a Lydia West alias Jill Baxter, una ragazza che ha visto tanti dei suoi amici morire di Aids e che proprio per questo si è fatta pioniera nella prevenzione e sensibilizzazione (il suo personaggio è ispirato all’attrice Jill Nalder, anche lei nel cast e amica di Davies, che negli anni ’80 ha fatto moltissimo per l’attivismo anti-Hiv). Fra le guest star che regalano ulteriori sfumature, ci sono Neil Patrick Harris, nei panni di un sarto dal destino tragico, e Roger Fry, politico che mostra tutte le contraddizioni del perbenismo thatcheriano.

4. La sfida ai benpensanti

It’s a Sin sarebbe potuta benissimo non esistere mai. Siamo abituati a pensarci oggi come una società ormai liberata da tabù e segreti, tanto che qualsiasi argomento possa essere trattato sullo schermo. Il travagliato percorso di questa serie, invece, dimostra il contrario: rifiutata inizialmente da Channel 4, poi anche da Bbc One e da Itv, tutte emittenti britanniche che si sono dette non pronte a mostrare certi temi, alla fine è stata ordinata appunto da Channel 4, anche se è stato richiesto che gli otto episodi inizialmente pensati fossero ridotti a cinque. Nonostante tagli e ritrosie, It’s a Sin ha fatto ascolti record, divenendo il debutto di un drama più seguito sulla rete e raggiungendo 6,5 milioni di visualizzazioni nelle prime settimane di trasmissione in streaming. Tutti i tentativi di criticarla per la rappresentazione inedita, disinibita e realistica del sesso omosessuale sono stati rispediti al mittente: qui, in effetti, il sesso è mostrato, nonostante la sua carica potenzialmente pericolosa, come qualcosa di gioioso e finalmente liberato da concezioni pruriginose.

5. La colonna sonora

Lo ribadiamo, It’s a Sin non è storia facile: colpisce allo stomaco e fa commuovere, perché costringe a guardare angoli della società che siamo abituati a lasciare nell’ombra più cupa. Ma ciò non le impedisce di essere una serie che ha i suoi momenti di gioia liberatoria, di ironia estrema e di grande celebrazione degli anni ’80, che hanno segnato un periodo di vitalità e divertimento. Vediamo il gruppo di protagonisti frequentare i club, sfoggiare look ancora oggi invidiabili, godersi la vita con una propensione non tragica al futuro. E a sottolineare tutto ciò c’è una colonna sonora selezionata con grande maestria: si va dal pezzo cult dei Pet Shop Boys da cui è tratto il titolo a Feels Like I’m in Love di Kelly Marie, da Tainted Love dei Soft Cell a Smalltown Boy dei Bronski Beat; poi ancora: Kids in America di Kim Wilde, Only You degli Yazoo, Running Up That Hill di Kate Bush, Heaven is a Place on Earth di Belinda Carlisle e molto altro. Se siete amanti di quella musica, ne riscoprirete tutta l’intensità mentre punteggia con grande sapienza una storia potente.

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[Fonte Wired.it]