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venerdì, Set 13

5 serie tv rappresentative dell’epoca del #MeToo


Dopo gli scandali di Harvey Weinstein e tutto il resto, anche le serie tv hanno incorporato una precisa attenzione culturale alla rappresentazione degli abusi subiti dalle donne

Alla fine del 2017 lo scoppio dello scandalo legato ai numerosi casi di abusi e molestie perpetrati – secondo diverse accusatrici – dal potente produttore cinematografico Harvey Weinstein, ha portato al moltiplicarsi di accuse nei confronti degli uomini di potere ma ha anche generato un vero e proprio movimento culturale, il #MeToo, che si è impegnato in questi mesi a rivedere la posizione, la visibilità e il rispetto delle donne in tutti i campi della vita sociale, a partire da quello lavorativo. Un’ondata così potente di presa di coscienza – non priva di passi falsi, ostacoli e ardue resistenze non poteva che riflettersi fortemente anche sul medium che più profondamente sta cercando di raccontare la contemporaneità, ovvero le serie tv.

Non solo si è visto un moltiplicarsi (non ancora sufficiente, peraltro) di registe, showrunner e sceneggiatrici, ma anche le trame di molti prodotti seriali sono state sapientemente variate per includere temi atavici ma sempre attuali, prima nascosti da un velo di ipocrisia e non detto di convenienza.

1. Unbelievable

Arriva il 13  settembre su Netflix Unbelievable, una miniserie in otto episodi tratta da un’agghiacciante storia vera, raccontata in un articolo (An Unbelievable Story of Rape) vincitore del premio Pulitzer: tutto parte dalla denuncia di stupro da parte di un’adolescente, Marie Adler, la quale dichiara di essere stata violentata da un intruso in casa sua. I poliziotti (maschi) e alcuni esami medici frettolosi però arrivano alla conclusione che non c’è stata nessuna violenza e alla vergogna della molestia per la ragazza si aggiunge l’infamia della menzogna finché due detective donna (interpretate da Toni Collette e Merritt Wever) coglieranno nel suo caso il modus operandi di quello che sembra uno stupratore seriale.

Come molte delle serie tv di quest’anno, soprattutto se tratte da storie vere (When They See Us, Chernobyl), anche questa produzione non è spesso facile da guardare. Il modo in cui il sistema schiaccia una ragazza colpevole solamente della sua testimonianza, per poi rivelare invece tutte le sue fallaci fragilità, è agghiacciante, soprattutto se si pensa a quanto spesso la parola delle donne, in particolare quelle emarginate e offese, venga con così tanta facilità messa in discussione. Gli svariati casi di questi anni ci avrebbero dovuto insegnare a prestare maggiore attenzione a questi allarmi, ma sappiamo che la realtà è ovviamente più problematica e complessa di così.

2. Glow

Altra produzione Netflix, Glow è sicuramente una rappresentazione stravagante, colorata e folle di un certo spaccato degli anni Ottanta, quel decennio capace di prendere delle attrici spiantate, travestirle (in modo succinto) da spia sovietica o da lupa e gettarle su un palco di Las Vegas in un surreale show televisivo a base di wrestling femminile. In mezzo a tutto ciò, però, c’è spesso spazio per un approfondimento realistico sull’interiorità femminile e soprattutto sulle dinamiche di potere che spesso intervengono in modo malato all’interno del mondo dello spettacolo.

Su tutti fondamentale è un episodio della seconda stagione: la protagonista Ruth Wilder (Alison Brie) viene invitata a cena dal manager della tv in cui il programma va in onda, il quale si dice fan del suo lavoro; arrivata all’hotel, le viene detto che l’uomo cena sempre in camera sua e lei ci va convinta che con loro rimarrà anche il produttore della serie, che però si sfila immediatamente. Seguono ovvie avances e un ostinato rifiuto. Le scene sono raccapriccianti anche perché traspongono il metodo usuale che proprio Harvey Weinstein utilizzava per mettere all’angolo le sue vittime. Ancora più interessante e drammatica, è la reazione di alcune colleghe, che rimproverano Ruth di aver messo a repentaglio le loro carriere per non esserci stata. Tutto troppo familiare.

3. Tuca and Bertie

È un peccato che Netflix abbia deciso di cancellare Tuca and Bertie dopo una sola stagione: la produzione animata creata da Lisa Hanawalt, che già aveva lavorato in BoJack Horseman, era incentrata sulla bizzarra amicizia fra le due protagoniste, l’irrequieta tucano Tuca e la spensierata usignolo Bertie. Il legame fra le due è molto profondo anche se spesso subisce la tensione derivata dalle loro esperienze personali, che devono costantemente ribadire la propria posizione nel mondo nonostante gli svariati tentativi della società di sminuirle.

Le due devono urlare contro alcuni tizi che fanno loro complimenti pesanti mentre fanno jogging, oppure Bertie deve trovare un modo di farsi ascoltare durante le riunioni di lavoro in cui i colleghi maschi la prevaricano o ancora deve difendersi dal pasticcere che, oltre a insegnarle il mestiere, vuole approfittarsi di lei e, una volta rifiutato, la boicotta in ogni modo. Ma è soprattutto Tuca ad affrontare la prova più grande: la sua rabbia e la idiosincrasia verso il mondo vengono soprattutto da un episodio di violenza che ha subito in giovinezza durante un campo estivo. Rivisitare quei luoghi, e soprattutto il senso di impotenza e di fragilità che ne derivano, sarà in parte terapeutico. L’animazione fantasiosa e surreale è un modo per sublimare la drammaticità di questi episodi ma anche per consentire una più facile immedesimazione da parte di chi non li ha vissuti direttamente.

4. The Boys

Può sembrare strano che una serie di supereroi, pur controcorrente e peculiare come The Boys, da quest’estate disponibile su Amazon Prime Video, c’entri in qualche modo col #MeToo. Invece lo stesso showrunner Eric Kripke ha dichiarato che lo scoppio del movimento di rivendicazione, avvenuto proprio nel bel mezzo della scrittura della serie, ha spinto gli autori a rivedere radicalmente alcune scene in modo da affrontare direttamente non solo i problemi degli abusi, ma soprattutto la gestione delle conseguenze.

Nel primissimo episodio, infatti, vediamo che la giovane Starlight, new entry nell’elite dei supereroi, viene costretta a praticare sesso orale a uno dei veterani, Abisso (nei fumetti da cui la serie è tratta l’abuso è ancora più grande e, per certi versi, gratuito): lo fa per il timore di ripercussioni ma poi si sente male per non poter denunciare, inascoltata dagli altri colleghi. La sua vendetta, però, arriverà comunque, pianificata con cura e portata a termine con grande decisione. Anche questi supereroi, dunque, insegnano che c’è sempre un modo di rivalersi anche quando sembra che la situazione sia completamente avversa e irrisolvibile.

5. Law and Order: Special Victim Unit

A vent’anni dal suo debutto sulla televisione americana, Law and Order: Special Victim Unit giunge in quest’anno televisivo alla sua 21esima stagione. Un record per una serie drammatica ma anche un traguardo importante perché, è opinione di molti, questo spin-off del procedural ideato da Dick Wolf è oggi ancora più rilevante che mai. Fin dal principio, infatti, la serie si è concentrata su crimini di natura sessuale ma negli ultimi anni la sua importanza è divenuta ancora più cruciale per la possibilità di poter incamerare ancora più apertamente nelle sue trame le istanze di questo tipo che vengono dalla società tutta.

Proprio la première di questa stagione è incentrata su un mogul dei media (Ian McShane) accusato di violenze sessuali ripetute, in una storia chiaramente ispirata a Weistein. E non sarebbe la prima volta che accade, visto che già nella 12esima stagione si parlava di miliardario pervertito che abusava di una dodicenne e poi la faceva franca per alcuni cavilli legali, e qui il riferimento è al caso di Jeffrey Epstein, suicidatosi di recente dopo che tutti suoi abusi anche su minori erano riemersi in modo eclatante. “Più che mai è interessante il cambio delle politiche sessuali negli Stati Uniti”, dice lo showrunner Warren Leight, “con tutte le leggi sul battito fetale o appositamente pensate contro le donne, è un terreno interessante con cui confrontarci”.

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