Nel 1975 le spiagge soleggiate furono velate da una nuova paura, invisibile eppure tangibile e materica, orchestrata da un giovanissimo Steven Spielberg. Jaws – per noi Lo squalo – oggi è un classico della cinematografia mondiale, ma quando uscì rappresentò un vero punto di rottura: il primo blockbuster estivo accompagnato da una radicale operazione di marketing basata su merchandising efficace e una massiccia campagna pubblicitaria televisiva che da sola costò 700.000 dollari. Ma a rendere iconico questo film furono, oltre che uno script di tutto rispetto, tratto dall’omonimo romanzo di Peter Benchley, la sapienza registica di Spielberg, capace di trasformare ogni ostacolo in una trovata geniale, una colonna sonora dirompente, semplice e agghiacciante, e la presenza-assenza di un mostro che fende l’acqua, che incombe senza mostrarsi davvero.
Il primo vero blockbuster
“Sa come ci si accorge degli squali quando si è in acqua? Si riconoscono guardandoli dalla pinna dorsale alla coda”. Il film, insignito di 3 Premi Oscar e un Golden Globe, ci porta sulle spiagge di una cittadina americana dell’Isola di Amity. Lì, in quel microcosmo balneare apparentemente idilliaco, la tensione cresce progressivamente, alimentata da un susseguirsi di attacchi inspiegabili che sconvolgono la quiete della comunità. Dietro quelle aggressioni c’è uno squalo, un esemplare mastondontico e ferino, che uccide in maniera spietata chiunque si trovi nel suo raggio d’azione. Il capo della polizia Martin Brody, interpretato da Roy Scheider, si trova a fronteggiare non solo il terrore generato dal famelico animale, ma anche le pressioni economiche e politiche di chi vuole tenere le spiagge aperte a tutti i costi, sacrificando la sicurezza in nome del turismo. Per fare in modo che la tranquillità torni sulle spiagge dell’Isola di Amity, Brody decide di dar la caccia allo squalo assieme al biologo marino Matt Hooper (Richard Dreyfuss) e il cacciatore di squali Quint (Robert Shaw), salpando a bordo dell’Orca.
Lo squalo anche a distanza di cinquant’anni non ha perso nulla della sua potenza visiva. Il terrore che trasmette non si è minimamente incrinato, anzi, ha contribuito a riscrivere le coordinate della suspense e dell’intrattenimento, sedimentandosi nell’immaginario collettivo. Lo squalo non fu solo un successo commerciale: la sua influenza si estese ben oltre i confini del grande schermo, generando sequel, non particolarmente fortunati, e persino fobie che hanno condizionato la percezione pubblica degli squali e del mare.
Il mostro che non si vede
Nel suo saggio Cinema Speculation, Quentin Tarantino scrive che “Se Lo squalo di Steven Spielberg è uno dei più grandi film di tutti i tempi è perché uno dei registi di maggior talento di tutti i tempi, quando era giovane, incappò nella sceneggiatura giusta, sapeva quello che aveva tra le mani e sudò sangue per realizzarla nel miglior modo possibile”. Il lavoro di Spielberg sul set fu titanico e meticoloso, un’impresa che richiese ostinazione e una visione fuori dal comune per trasformare difficoltà tecniche, imprevianrsti e limiti produttivi in soluzioni narrative.
Uno dei principali problemi affrontati durante la produzione fu il continuo malfunzionamento dello squalo meccanico, soprannominato Bruce, che avrebbe dovuto essere il protagonista visivo del film. A complicare ulteriormente le riprese contribuirono le difficili condizioni ambientali: maltempo e mare agitato resero il lavoro sul set sempre più faticoso e costoso. Per ovviare all’assenza forzata della creatura meccanica, Steven Spielberg ideò una soluzione creativa: anziché mostrare il mostro in modo diretto, edificò la tensione facendo leva sull’attesa e sull’immaginazione dello spettatore. Utilizzò accorgimenti visivi d’effetto, come la celebre soggettiva dello squalo, con la macchina da presa che sembra fluttuare e immergersi come se fosse il predatore, e il ricorso al cosiddetto effetto Vertigo, espediente registico amato dal regista Alfred Hitchcock che nasce dalla combinazione di uno zoom in avanti e di una carrellata indietro, per amplificare la suspense e il senso di minaccia.
La colonna sonora di John Williams
La particolarità dell’opera consiste nel non mostrare lo squalo per buona parte del film, lasciando che sia la colonna sonora, composta da John Williams, a dare corpo, a conferirgli presenza e a suggerire l’insidiosità dell’animale. John Williams compose due note, e quelle due note diventarono leggendarie. La musica è la colonna portante della suspense della pellicola, e attraverso di essa lo spettatore può avvertire la presenza dello squalo, può scrutare i suoi movimenti e il suo andamento belluino e incalzante. Le note sono modulate come un battito cardiaco, che accelera quando lo squalo aggancia la sua preda e si avvicina all’attacco: la progressione della musica mette lo squalo e lo spettatore sullo stesso piano di azione, essendo lo spettatore osservatore diretto e testimone delle aggressioni dell’animale.