Cosa sta succedendo con il 5G a Roma? L’Urbe doveva diventare la capitale italiana del 5G, un “laboratorio” unico nel suo genere. E probabilmente diventerà davvero unico nel suo genere considerato che in città ci si è impantanati sulla questione dell’estetica delle antenne.
A 9 mesi dall’approvazione del nuovo Regolamento comunale per gli impianti di telefonia mobile (era il 27 settembre 2024) – dopo anni di battaglie a colpi di contenziosi legali da parte degli operatori di telefonia per i reiterati ostruzionismi delle varie giunte capitoline, anni che hanno comportato un ritardo abnorme della città sul mobile – ci si ritrova a un pericoloso punto di partenza. Il tutto mentre è stato annunciato in pompa magna il progetto da 100 milioni (di cui 72,2 milioni in project financing e 20 milioni dalle Risorse Giubileo 2025) per disseminare di small cell oltre 1500 fra piazze, strade, metropolitane e aree “nevralgiche” per un potenziale complessivo di 6000 punti di propagazione di segnale, trasformando persino le insegne della metropolitana in access point wi-fi e 5G. E nel piano anche circa 850 punti in wi-fi 6. Un’infrastruttura mobile in grado di abilitare lo sviluppo di una rete di 5000 telecamere e 6400 sensori IoT. Il tutto da completare – ha auspicato il sindaco Roberto Gualtieri appena qualche settimana fa – entro il prossimo anno.
5G a Roma, quel pasticciaccio delle “mascherature”
Ma fra il dire e il fare ci si mette… l’estetica. Nonostante il via libera ai nuovi “modelli” di antenne da parte della Conferenza dei servizi dopo una serie di pareri frutto di mesi e mesi di incontri e interlocuzioni con tutti i soggetti in campo (assessorati competenti, rappresentanti del Dipartimento per la trasformazione digitale, operatori di Tlc, tower company e non ultime le sovrintendenze capitolina e quella a speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio) che hanno sortito la decisione di applicare “mascherature” alle antenne per renderle più in linea con la bellezza di Roma, più di qualcuno storce il naso e per sintetizzarla le mascherature sono antiestetiche, addirittura qualcuno dice più antiestetiche delle antenne “nude”.
E allora che si fa? Si convocano incontri, tavoli e si riparte dai pareri e c’è chi pensa che debbano essere coinvolti persino i cittadini, tanto per complicare le cose. E il 30 giugno, in occasione della riunione della Commissione Roma Capitale congiunta con la Commissione VIII Urbanistica, è stato annunciato che sarebbe addirittura auspicabile rimettere mano al Regolamento. In una nota congiunta Riccardo Corbucci, presidente della Commissione Roma Capitale, Statuto e Innovazione tecnologica, e Tommaso Amodeo, presidente della Commissione Urbanistica dichiarano testualmente che “è urgente-aggiornare il Regolamento comunale e le Norme Tecniche di Attuazione del piano regolatore, per garantire una pianificazione trasparente attraverso il ripristino del piano di localizzazione degli impianti, il coinvolgimento effettivo dei municipi nella scelta dei siti preferenziali e una validazione obbligatoria da parte di Roma Capitale degli elementi di arredo e mascheramento delle antenne, soprattutto nei contesti urbani vincolati e nei siti sensibili“.
I test al Celio e San Saba
Sarebbero stati i “test” nei quartieri Celio e San Saba – “casi emblematici” sostengono i firmatari della nota “impattanti e non concordate col territorio” – a far saltare sulla sedia gli esperti paesaggistici. E in occasione della seduta l’assessora allo Sviluppo economico, Monica Lucarelli, ha detto che bisogna “continuare a convocare un tavolo tecnico con tutti gli attori coinvolti, dagli uffici comunali alle Soprintendenze, dalle aziende di telefonia ai comitati dei cittadini, per armonizzare gli strumenti normativi con le nuove esigenze della rete, senza rinunciare a regole certe per il governo del territorio“. Il tutto sottolineando “l’importanza di sistema di mascheramento architettonico omogeneo, che eviti soluzioni improvvisate e renda gli impianti compatibili con il contesto paesaggistico”. E già nella seduta del 16 maggio Lucarelli aveva dichiarato che “Roma è una città complessa, stratificata, con un patrimonio culturale e paesaggistico unico al mondo: non possiamo permetterci soluzioni improvvisate o esteticamente impattanti”.
Spunta un catalogo con “modelli” da selezionare quartiere per quartiere
A tal proposito si ipotizza addirittura una sorta di “catalogo” da sfogliare di volta in volta per scegliere la soluzione ottimale, quartiere per quartiere, sito per sito. E nel catalogo vanno messe anche le antenne “nude”- possono avere il loro perché in quartieri più “moderni” (le periferie?). Naturalmente dovranno essere gli operatori a farsi carico dei costi. E saranno contenti di sapere che quelle mascherature su cui avevano lavorato non piacciono nonostante “bollinate”. Soldi e tempo buttati all’aria.
E si procede con l’istituzione di due tavoli tecnici permanenti: uno con la Sovrintendenza, “per costruire linee guida condivise che orientino già in fase di progettazione le scelte formali, visive e materiche” – ha spiegato Lucarelli – l’altro per “definire un vero e proprio piano di localizzazione delle antenne su scala urbana, capace di ridurre conflitti, minimizzare l’impatto e assicurare copertura in modo pianificato e trasparente”. E l’obiettivo è arrivare entro fine anno alla definizione di strumenti operativi condivisi. Entro fine anno? Siamo sicuri, sindaco Gualtieri, che la Roma 5G si farà entro il 2026?