“Il 90% del traffico 5G standalone è in Stati Uniti, India, Cina. Se guardiamo l’Europa dove pure alcuni operatori sono partiti, soltanto il 2% degli utenti hanno una connettività 5G standalone. Quindi l’Europa è purtroppo indietro“. Dal palco dell’evento Imagine Italy, Changing the Game Andrea Missori, presidente e amministratore delegato di Ericsson Italia, ha acceso i riflettori su un ritardo, quello europeo sulla quinta generazione mobile, che si sta facendo preoccupante.
Se è vero che stando alle statistiche e alle rilevazioni buona parte del territorio Ue – e l’Italia è fra i paesi al top – è raggiunto dalle reti 5G in realtà si tratta di reti che ancora poggiano sullo standard 4G e che quindi non riescono a performare come dovuto. Di qui il distinguo con le reti standalone, quelle full-5G che, ha spiegato il numero uno di Ericsson “segnano il passaggio da un modello di rete best effort a un modello sartoriale, capace di adattarsi alle esigenze specifiche di ciascun servizio. Non si tratta più solo di velocità, ma di latenza ridotta, capacità in uplink, sicurezza e resilienza”.
Caratteristiche fondamentali per garantire il cambio di passo in particolare per quel che riguarda le applicazioni industriali ma anche quelle legate ai servizi pubblici di nuova generazione a partire da quelle della sanità e dei trasporti. Ma per giocare la partita “servono politiche industriali, visione, ambizione e il coraggio di cambiare le regole”, è l’appello di Missori all’Europa e soprattutto al governo italiano.
Il nodo del 5G
La spesa per il 5G industriale vale poco più di 10 milioni
Che nel nostro Paese si stia marciano a ritmo lento è emerso anche dagli ultimi dati presentati dall’Osservatorio 5G & Connected Digital Industry del Politecnico di Milano: le aziende in Italia considerano ancora il 5G ancora un’opportunità da esplorare più che una risorsa strategica.
Sono solo 47 i progetti di reti 5G private o dedicate, appena 10 in più in un anno. E gli investimenti per il 5G industriale ammontano appena a 10,5 milioni di euro. “La strategia per sfruttare pienamente il potenziale della connettività rimane in buona parte ancora da costruire”, commenta Antonio Capone, responsabile Scientifico dell’Osservatorio del Politecnico di Milano. “Lentezze nel definire nuove strategie e resistenze al cambiamento dipendono in parte dal contesto competitivo, ma anche dalla difficoltà a far percepire il valore della connettività come elemento centrale di innovazione e trasformazione digitale del sistema produttivo nel suo complesso”.
Una situazione che dall’Italia si allarga all’Europa. Al netto delle attività sperimentali, si contano 157 casi di progetti di reti 5G private più maturi e commerciali – il 50% riferibili alla manifattura e alla logistica – anche se è difficile ottenere una mappatura precisa poiché molte delle iniziative non vengono rese note e restano nell’alveo del “confidenziale” spesso per motivi di sicurezza. “Nel manifatturiero il 5G può abilitare modelli di smart factory, con linee e macchinari connessi per la manutenzione predittiva, il supporto da remoto e l’uso di robotica collaborativa e veicoli a guida autonoma, mentre nella logistica consente fleet e asset tracking di veicoli e attrezzature, movimentazione autonoma delle merci e sistemi di sorveglianza intelligente basati su telecamere e droni”, evidenzia spiega Giovanni Miragliotta, direttore dell’Osservatorio del Politecnico di Milano.
Il nodo del dossier frequenze
Da non sottovalutare il dossier frequenze: se non si arriverà ora a una quadra soddisfacente in vista del rinnovo delle licenze nel 2029 gli investimenti nelle reti 5G potrebbero addirittura diminuire. E non a caso in occasione dell’evento di Ericsson la questione è stata ampiamente dibattuta.


