Ecco perché l’Unione europea ha emesso il Critical Raw Material Act l’anno scorso per far fronte alle problematiche di reperimento di questi materiali che prevedono la creazione di nuove fonti di approvvigionamento continentale, il riuso e il riciclo dei materiali contenuti nelle batterie in commercio e l’innovazione tecnologica: per questo aspetto, la grande protagonista è proprio la batteria a ioni-sodio.
Cos’è una batteria a ioni-sodio
Questa tipologia di batteria a base di sodio è al momento la proposta tecnologica più promettente per affiancare le batterie a ioni-litio. Attenzione: si usa spesso il termine “sale”, per indicare queste batterie, seppure è improprio visto che anche il litio è un sale, per altro presente anch’esso nel mare. Per cui utilizzare la parola sale al posto del sodio è corretto, ma non lo è quando si mette a confronto con il litio. Fatta questa premessa terminologica, ecco di cosa si parla quando trattiamo delle batterie al sale. Hanno gli stessi principi chimici del litio, ma oltre a non usare questo elemento non hanno bisogno neanche di altri materiali critici oggi usati comunemente nelle batterie al litio.
In ogni caso, le batterie a ioni-sodio non sostituiranno quelle al litio ma potranno integrarle. “Questa tipologia di batteria è meno performante ma migliore nella scala della sostenibilità”, segue il pm di Rse.
Dove si possono già usare le “batterie al sale”
Le batterie a ioni-sodio sono meno performanti di quelle a base di litio. Significa che quindi potrebbero essere impiegate su una fascia di mercato a basso costo. “A pari ingombro, queste batterie riescono a garantire una carica inferiore rispetto a quelle a ioni litio. Questo vuol dire avere meno km di autonomia. Un’utilitaria, in grado di percorrere oltre 300 chilometri con batterie a ioni litio, potrebbe percorrerne fino a un massimo di 200 chilometri, se fosse equipaggiata con un uguale volume di batterie a ioni sodio: in prospettiva, queste batterie potranno essere impiegate per usi urbani, dove i km non sono un problema, a patto che il loro costo sia inferiore a quello delle batterie al litio. E questo dovrebbe essere garantito dal minore uso di materie prime critiche ”. Le classiche auto da città, come una Smart.
“Inoltre, già oggi si può ipotizzare una loro applicazione nei muletti industriali. Oppure per i bus urbani. E in tutte le applicazioni stazionarie: batterie di casa per autoconsumo domestico, oppure autoconsumo industriale, generatori di emergenza e servizi di rete”. Insomma, una versatilità già oggi vastissima e che può solo crescere grazie alle ottimizzazioni delle performance che ci si aspetta in base alla ricerca e sviluppo su questo settore. Su cui c’è grandissimo interesse: è emblematico come il colosso cinese Byd intenda presidiare questo segmento, nonostante abbia una grande capacità (probabilmente incomparabile rispetto ai suoi competitors) di alimentarsi di litio. E per questo ha annunciato la realizzazione della prima fabbrica per batterie agli ioni di sodio. Ma anche l’Europa si sta muovendo: in particolare, il colosso svedese Nothvolt che si occupa di realizzare sistemi di accumulo energetico “green” ha annunciato che sta lavorando proprio sullo sviluppo tecnologico delle batterie al sale.
Limiti e promesse delle batterie a ioni-sodio
Innanzitutto, come visto, le performance: le batterie a base di sodio non hanno al momento prestazioni comparabili a quelle a base di litio. Le sperimentazioni sullo stagno stanno promettendo margini di sviluppo in tal senso. “Ci sono poi problematiche simili al litio, ad esempio sulla potenziale combustione di una batteria: il sodio in aria brucia quanto il litio, ed esiste un problema legato all’ossidazione dei materiali delle batterie. Il tema è sempre l’elettrolita, che è l’elemento più pericoloso della batteria, sia per quella al litio che per quella a ioni-sodio”. Quindi il ritardo tecnologico: la Cina, che si dice sia mediamente avanti di 10 anni rispetto all’Europa nello sviluppo di batterie elettriche, sta lavorando molto anche su questa nuova applicazione al sodio. Un ritardo che non deve spaventare, mentre l’attenzione deve rimanere sulla costruzione di filiere: l’Europa deve agire in maniera sinergica per crearne una comune e quindi massimizzare gli sforzi e i risultati della ricerca sul comparto. Cosa non sempre scontata.
A livello italiano, come spiega infine Perego, il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica “ha finanziato un progetto di ricerca proprio sullo sviluppo tecnologico dell’accumulo elettrochimico basata sugli ioni-sodio. Capifila sono Enea, Cnr e Rse e sono coinvolte moltissime università. Tra le altre La Sapienza, il Politecnico di Torino, l’Universita del Sannio, di Camerino, l’Universita di Bicocca, Pavia e il Politecnico di Milano”. C’è già grande interesse dell’azienda italiana Faam, storica produttrice di batterie, a realizzare una linea di ricerca e un impianto produttivo dedicato alla tecnologia di accumulo ioni-sodio. Un inizio concreto: ora serve un grande investimento sinergico per creare un futuro promettente, che consenta all’Italia come all’Europa di rendersi quanto più autonoma nella creazione dei motori energetici di cui ha bisogno la transizione ambientale.