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La separazione delle carriere tra magistratura requirente e giudicante è uno degli elementi chiave della riforma della giustizia proposta dal governo Meloni e dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, con l’obiettivo di trasformare profondamente il sistema giudiziario italiano. Questa riforma, presentata dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal guardasigilli (come viene convenzionalmente indicato nel lessico politico il ministro della giustizia) e varata in Consiglio dei ministri, potrebbe segnare un passo decisivo verso la ridefinizione delle strutture giudiziarie italiane. Tanto da aver scatenato le proteste dei magistrati.

Il raddoppio del Csm

La proposta, articolata in otto articoli, modifica la Costituzione per creare due distinti Consigli superiori della magistratura (Csm), dividendo quello singolo attuale, che è l’organo di amministrazione della giurisdizione e di garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati ordinari, previsto dalla Costituzione.

La riforma costituisce due Csm, uno rivolto ai giudici e uno ai pubblici ministeri (pm), entrambi presieduti dal presidente della Repubblica. Questa separazione vuole differenziare nettamente i percorsi di carriera tra chi giudica e chi accusa, eliminando qualsiasi possibilità di passaggio da una parte all’altra. Le toghe possono esercitare due funzioni. Una è la funzione giudicante, svolta dagli organi giudiziari (i giudici) e consiste nel compito di decidere le controversie o di pronunciarsi sugli affari di loro competenza. La funzione requirente è invece esercitata dai magistrati che svolgono attività di “pubblico ministero” e hanno il compito di esprimere richieste o pareri in vista delle decisioni degli organi giudicanti.

Attualmente, i magistrati possono cambiare ruolo, ma solo una volta e solo nei primi dieci anni di carriera, una pratica comunque poco frequente. Secondo dati de Il Fatto Quotidiano, dei 12mila magistrati assunti dal 1965 a oggi, il 74% non ha cambiato percorso di carriera.

Tutte le novità della riforma

Il Csm sarà dunque sdoppiato: la composizione dei due nuovi Csm sarà modificata per contrastare le dinamiche delle correnti interne, a detta del governo. I membri dei consigli saranno scelti tramite sorteggio anziché elezione diretta, sia per i togati (magistrati) sia per i laici (esperti di diritto esterni alla magistratura). Il sorteggio dei membri laici avverrà all’interno di un elenco di persone selezionate dal Parlamento. Un’altra novità importante è l’istituzione di una nuova Alta Corte Disciplinare, che avrà il compito di trattare le questioni disciplinari dei magistrati. Sarà composta da quindici membri e prevede l’ingresso di tre persone nominate dal Quirinale, tre sorteggiate da un elenco del Parlamento, e nove magistrati e giudici sorteggiati tra quelli con esperienza significativa.

La riforma ha suscitato diverse reazioni: l’Associazione nazionale magistrati (Anm), ossia il sindacato nazionale delle toghe, ha espresso forte opposizione, criticando la rapidità dell’approvazione; secondo i magistrati, la riforma avrebbe un intento punitivo nei confronti della magistratura ordinaria. L’Anm teme che la separazione delle carriere possa ridurre l’indipendenza dei giudici. Rossella Mauro, presidente della corrente moderata Unicost, al Corriere della Sera ha detto che la riforma aumenterà gli effetti distorsivi e i conflitti istituzionali. Il pm, secondo Mauro, “rischia di diventare un superpoliziotto”.

Probabilmente il percorso verso l’approvazione definitiva della riforma potrebbe essere lungo e complesso: l’iter legislativo prevede infatti che la riforma debba essere approvata da entrambe le camere del Parlamento in due deliberazioni successive, con un intervallo di almeno tre mesi. Alla seconda votazione la legge deve essere approvata con una maggioranza dei due terzi: in caso contrario, si andrà al referendum.



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