L’attenzione si concentra su un numero minore di personaggi, l’intreccio è meno confuso ed è meno frustrante orientarcisi: sappiamo chi sono le figure che contano davvero nel gioco del trono. Se la prima annata era un contesto diffusamente maschilista che generava la mancata ascesa al trono di Rhaenys prima e Rhaenyra poi, nella seconda non è più questione di re o regina, la guerra delle rose è dominata dalla cieca rivalsa. I primi due episodi adottano un incedere lento e un registro lugubre; la trama si dipana a fuoco lento e i personaggi si muovono con una cautela felina che quasi paralizza l’azione. Da quella quasi immobilità, la macchina della guerra comincia a muoversi impercettibilmente ma inesorabilmente: si perpetrano intrighi e macchinazioni, si suggellano alleanze, si formano eserciti. L’azione incalza e culmina in battaglie furibonde e duelli all’ultimo sangue.
La storia avanza in dosato equilibrio da calma e furia; è la prima a generare la tensione più palpabile – specialmente durante i confronti tra due personaggi -, mentre la seconda fa da valvola di sfogo tramite le battaglie affollate e cruente. Un analogo dualismo informa anche alcune coppie di personaggi. I singoli protagonisti non sono molto seducenti come figure a sé stanti ma funzionano eccellentemente in relazione tra loro (come foil l’uno dell’altro), specialmente Rhaenyra & Alicent, Aegon & Otto, Daemon & Aemond. Non ci si può schierare con buoni o cattivi, perché non ce ne sono: non esiste, e non avrebbe senso, una distinzione manichea di bene e male, di buoni e cattivi. Ciascuno di loro, come chiunque in House of the Dragon esibisce una moralità torbida, nessuno brilla per chiara virtù o per assoluta malvagità. Senza rivelare spoiler, intorno ai loro tortuosi rapporti girano tre degli snodi narrativi più avvincenti di questa prima metà di stagione.