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Il Re Leone tra poco continuerà il suo percorso con un prequel, incentrato sul passato di Mufasa. Sarà il quarto film nato da un successo senza precedenti e totalmente inaspettato che questo Classico Disney conobbe nell’esatto momento in cui uscì in sala, il 15 giugno 1994. Dopo trent’anni, nulla è cambiato, Simba, la sua epopea, rimangono un momento cardine dell’immaginario collettivo, da molti punti di vista forse il più grande film Disney di tutti i tempi, di certo quello più complesso, più maturo, più audace, capace di insegnare tantissimo e assieme di donare una storia senza tempo.

Un successo tanto inatteso quanto irripetibile

Il Re Leone non doveva essere il titolo principale per la Disney in quel periodo. All’epoca produttori erano focalizzati soprattutto su Pocahontas, che aveva un budget molto più alto e soprattutto occupava gran parte del team d’animazione. La Disney era sicura che la storia della principessa indiana sarebbe stata un successo epocale, Il Re Leone invece era nato dalla curiosità circa la possibilità di ampliare la tradizione degli animali antropomorfi, soprattutto dopo l’uscita di Oliver & Company. La sceneggiatura all’inizio era molto confusa, si pensava ad un film quasi semi-documentaristico, molto più connesso alla realtà dell’ecosistema africano. Ci volle la fantasia di Brenda Chapman per venirne a capo e dare i giusti spunti a Irene Mecchi, Jonathan Roberts e Linda Woolverton, che inserirono elementi della narrativa shakespeariana e della mitologia, sia cristiana che greca, nel creare quello che è, ancora oggi, soprattutto uno dei più grandi film di formazione che siano mai stati concepiti. Il Re Leone è ad oggi soprattutto uno dei pochi Classici Disney ad essere totalmente originale, non connesso in alcun modo ad una narrativa già esistente.

Risulta ancora oggi incredibile come il film sia capace di affascinare per estetica, personaggi, qualità della scrittura, nonché della colonna sonora, ancora oggi una delle più amate ed iconiche della storia del cinema, con la doppia firma di Hans Zimmer ed Elton John. Ma più ancora, Il Re Leone è stato un momento cardine per il pubblico dell’infanzia dell’epoca, quello dei Millennial. Chi era bambino allora, o preadolescente, ha un ricordo molto ben preciso di questo film, sicuramente molto più impegnato rispetto ad altri pur notevolissimi titoli di quel periodo, il magnifico Rinascimento. La Sirenetta, La Bella e la Bestia, Aladdin, avevano aperto una strada rigogliosa fatta di animazione stupefacente, di un atteggiamento assolutamente maturo e rispettoso nei confronti del suo pubblico. Il Re Leone tutto questo lo portò ai massimi livelli, parlandoci del della paura di crescere, di cambiare, del lutto e della perdita, dei sensi di colpa e dell’assunzione di responsabilità, come non era mai stato neppure concepito fino ad allora in un film d’animazione Disney.

Paperino ne La gallinella saggia

Il 9 giugno 1934 debuttava uno dei personaggi più amati di sempre: rispolvera i ricordi d’infanzia con le nostre domande sull’abitante più celebre di Paperopoli

Si parlerà e si è parlato a lungo dei supposti legami de Il Re Leone con altre opere, in particolare con Kimba il Leone Banco di Tezuka. Non è stata la prima o l’ultima volta che questa polemica è nata, ma occorre ricordarsi che nel cinema tutto è rielaborazione, riscrittura, evoluzione, nulla nasce e nulla muore. Il Re Leone portò ad una svolta anche per quello che riguardava la rappresentazione degli animali. Qui erano antropomorfi? Si, ma molto meno del solito, di fatto Simba, Mufasa, Timon, Pumbaa, Scar sono e restano animali, completamente slegati dalla presenza dell’uomo. Il loro studio anatomico pareggiò per minuziosità quello che a suo tempo era stato fatto per Bambi, altro capolavoro firmato Disney, anch’esso concentrato guarda caso sulla crescita, il lutto e la paura dell’età adulta. Il Re Leone sancì anche una novità per quello che riguardava l’utilizzo di star hollywoodiane nel doppiaggio. Matthew Broderick, Jeremy Irons, James Earl Jones, Moira Kelly, Rowan Atkinson e Whoopi Goldberg.

Questi non dettero solo la voce ai personaggi, ma furono punto di riferimento per la rappresentazione grafica. Ma se Il Re Leone ancora oggi è nel cuore di tutti, è anche perché seppe darci un cattivo incredibile. Jeremy Irons può rivendicare una buona percentuale del successo del film. Il suo Scar univa le caratteristiche di uno Stalin e di un Hitler, con quelle di un Re Claudio o Riccardo III creati da Shakespeare. In lui abbiamo un simbolo di tradimento potentissimo, intimo, patologico, l’invidia e assieme la mediocrità intima, connesse ad una visione politica in cui il totalitarismo abbraccia il populismo. Scar è però astuto, manipolatore, narcisista e opportunista, sovverte con il caos l’ordine garantito da un Mufasa, la cui uccisione è ad oggi uno dei momenti più scioccanti della storia del cinema, preceduta dall’iconico Lunga vita al Re”. L’effetto fu superiore a ciò che film come Alla ricerca della valle incantata o il già citato Bambi avevano avuto. Quel corpo senza vita attorno cui si muove quello che a tutti gli effetti è un bambino, non l’abbiamo più dimenticato.

Tra le righe, una grande storia su come comprendere la vita

Ancora oggi, se si chiede a qualsiasi membro della generazione millennial quale sia il suo film Disney preferito, nel 90% dei casi sarà questo. Il Re Leone rappresenta da molti punti di vista il culmine di un percorso cominciato negli anni ’80, che aveva messo il pubblico più giovane al centro del villaggio. Erano gli anni in cui l’animazione era centrata su una visione non più così banale o scontata e soprattutto paternalistica dell’infanzia e della giovinezza. Eppure, rimaneva ancora di moda spesso una declinazione spesso edulcorata dell’età giovanile, nessuno si era mai rivolto prima al pubblico per mostrargli la verità. Seguendo la tragica epopea di Simba, figlio di un Re, costretto a trovare una nuova casa, il pubblico dell’infanzia per la prima volta realizzo una verità dura ma inevitabile: tutto sarebbe cambiato per loro un giorno. Sarebbero cresciuti, sarebbero diventati adulti, non avrebbero raggiunto “l’Isola che non C’è” assieme a Peter Pan per rimanere giovani per sempre. Il Re Leone gli fece capire che i loro genitori non sarebbero rimasti con loro per sempre, non fisicamente almeno.

Mufasa di fronte a questa paura risponde a Simba parlandogli di stelle, del passato, degli insegnamenti che lo terranno in vita. Il cambiamento fa parte della vita, ma a quell’età può anche spaventare enormemente. Il Re Leone pose come falsa alternativa, l’ebbrezza di una vita totalmente disimpegnata, quella che la scatenata coppia Timon & Pumbaa offre a Simba. Senza pensieri la tua vita sarà/ chi vorrà vivrà in libertà, ma alla fin fine già prima dell’incontro con Nala, si percepisce che per lui è qualcosa di limitato, una prigione dorata che non gli permette di spiccare il volo. Tutto questo arrivò ad un pubblico, quello dell’infanzia, a cui fino a quel momento si era parlato quasi sempre di rimanere piccoli in eterno, figli in eterno, senza responsabilità e con grandi avventure a lieto fine, lo status quo che ritornava al passato. Nossignore, Simba deve affrontare il senso di colpa per aver causato la morte del padre, qualcosa di pesante, doloroso. Rafiki, meraviglioso filosofo, fa comprendere a Simba che il vero, grande nemico da cui sta scappando, è semplicemente sé stesso, quell’immagine riflessa su uno specchio d’acqua.

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Fusoliera e interni personalizzati per il velivolo China Eastern Airlines che omaggia un’area del parco tematico di Shanghai Disneyland

Chi vide Il Re Leone, spesso di lì a poco dovette lasciare le elementari per le medie, oppure le medie per le superiori. Cambiamento significa anche rinunciare a qualcosa: amici, compagnie, stili di vita, interessi. Se Il Re Leone ancora oggi ha un posto speciale nel cuore di milioni di adulti, gli stessi che magari hanno portato i propri figli a vedere il pur deludente live action, è proprio perché gli fece capire che non dovevano aver paura del domani. L’età adulta, descritta spesso come fine dei sogni e della fantasia, offriva invece possibilità, nuovi mondi da scoprire, ed era soprattutto inevitabile. Caratterizzato da momenti di un’epica e una bellezza da mozzare il fiato, straordinario racconto visivo degno della Hollywood più grandiosa, fu anche storia di una paternità fatta di sensibilità ed esempio, non di mera muscolarità, di comprensione e altruismo, Il Re Leone di fatto ci guida dall’infanzia alla maturità di un protagonista in cui l’insicurezza, la fragilità, non sono un ostacolo ma alla fine si rivelano un mezzo attraverso il quale scoprire sé stessi.

Il grande cerchio della vita, la metafora che attraversa questo incredibile scrigno di immagini e suoni, Simba che viene mostrato da bambino dalla Rupe dei Re, la stessa da dove scruterà l’orizzonte proibito, da cui scaglierà Scar verso l’abisso, reclamerà il suo trono e infine vedrà la nascita della propria progenie, non è una semplice ricorrenza. Lì sopra c’è la celebrazione della vita nella sua essenza, c’è la realtà dei riti di passaggio di tutti e del mondo che va avanti. Tale elemento, il pilastro della vera semantica di questo dramma ad alta spettacolarità, fu un antidoto eccezionale a quell’individualismo estremo, che poi avrebbe assediato la Generazione Z. Quella dei Millennials è stata l’ultima di fatto a ragionare in termini collettivi, a sentirsi parte di un qualcosa di più alto pur se indefinito. Il Re Leone è stato il più grande film d’animazione della Disney perché trattò il pubblico più giovane come futuri adulti, e ricordò agli adulti cosa significava essere giovani e avere paura del domani. Dopo questo film, nulla è più stato lo stesso, per fortuna.



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