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Cattive notizie per le ipotesi secondo le quali la materia oscura sia composta di frattaglie dei buchi neri primordiali, quelli che si sono formati nei primi momenti di vita dell’Universo, subito dopo il Big Bang: il risultato di venti anni di osservazioni da parte degli scienziati responsabili dell’esperimento Ogle (Optical Gravitational Lensing Experiment) sembra infatti mostrare che i buchi neri primordiali possono giustificare, al più, solo una piccola percentuale dell’intera quota di materia oscura (che si pensa sia) presente nell’Universo. La scoperta dei ricercatori, afferenti all’osservatorio astronomico della University of Warsaw, in Polonia, è descritta in due studi pubblicati su Nature e sulle Astrophysical Journal Supplement Series.

Cosa dovrebbe essere la materia oscura

Al momento, la materia oscura non è mai stata osservata direttamente. Tuttavia, diverse osservazioni sperimentali, verificate più volte e indipendentemente, sembrano essere spiegabili solo assumendo che nell’Universo esista un tipo di materia “diverso” da quella ordinaria. La materia oscura, per l’appunto. Tutto comincia con il cosiddetto Modello standard della fisica delle particelle, la teoria (anch’essa verificata) che descrive la natura e il comportamento della materia ordinaria; tale teoria, seppur corretta, sembra essere in qualche modo incompleta. Nel corso del secolo scorso, infatti, astronomi e cosmologi hanno cominciato ad accumulare diverse osservazioni sperimentali, legate soprattutto a fenomeni che hanno a che fare con la gravità, che non potevano essere spiegati né previsti dal Modello standard. Tra queste, per esempio, la velocità di rotazione delle stelle e delle galassie, alcune caratteristiche della radiazione cosmica di fondo (cioè l’“eco” del Big Bang) e la curvatura della luce per effetto delle cosiddette lenti gravitazionali, un fenomeno previsto dalla teoria della relatività generale di Albert Einstein.

Se si considerano solamente le particelle di materia ordinaria, effettivamente, questi fenomeni sono inspiegabili; per questo motivo, già nel 1932, l’astronomo olandese Jan Joort propose la presenza di un altro tipo di materia, la materia oscura, per l’appunto, per riconciliare osservazioni sperimentali e modelli teorici. Non fosse, però, che al momento questo tipo di materia non è mai stata osservata sperimentalmente, e non abbiamo ancora un’idea precisa di quali dovrebbero essere le sue caratteristiche. L’ipotesi di Oort, poi raffinata nei decenni successivi, è che la materia oscura interagisca con quella ordinaria tramite la gravità; stando alle stime attuali, questa entità rappresenterebbe addirittura la maggior parte dell’Universo – l’85% circa di tutta la materia esistente e il 27% della massa totale. Secondo altre osservazioni, la materia ordinaria costituirebbe appena il 5% della massa e del bilancio energetico totali dell’Universo: nella Via Lattea, per esempio, per ogni chilo di materia ordinaria ce ne sarebbero quindici di materia oscura, che non emette luce e interagisce solo tramite la gravità.

“La natura della materia oscura resta un mistero. La maggior parte degli scienziati ritiene che sia composta da particelle elementari ancora sconosciute – ha commentato Przmek Mróz, uno degli autori dei lavori appena pubblicato – ma sfortunatamente, nonostante decenni di tentativi, nessun esperimento, compresi quelli condotti al Large Hadron Collider [il grande acceleratore di particelle di Ginevra dove è stato identificato il bosone di Higgs, nda], è riuscito a isolare nuove particelle che potrebbero essere legate alla materia oscura”.

Il problema dei buchi neri primordiali

Lasciamo per un attimo da parte la materia oscura e dedichiamoci a un’altra stranezza, relativa alle onde gravitazionali e ai buchi neri. Nel 2015, gli esperimenti Ligo e Virgo sono riusciti, per la prima volta al mondo, a osservare direttamente un’onda gravitazionale (cioè una perturbazione dello spazio-tempo così come prevede la teoria della relatività generale) generata dalla fusione di due buchi neri. Da allora, ne hanno osservate molte altre, circa 90, e con il tempo agli occhi degli astronomi è balzata una stranezza: i buchi neri rivelati da Ligo e Virgo sono tipicamente molto più massicci rispetto a quelli presenti nella Via Lattea (20-100 masse solari e 5-20 masse solari, rispettivamente). “Il motivo per cui queste popolazioni di buchi neri sono così diverse – dice ancora Mróz – è uno dei più grandi misteri dell’astronomia moderna”.



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