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Che cos’è il riso? Qual è l’origine di quest’attività meravigliosa che trasforma il mondo in una cascata di momenti che hanno, per usare la famosa espressione di D’Annunzio, la consistenza dell’argento? Quando ridiamo che cosa proviamo? E il ridono solo gli umani o anche negli animali? È universale, come il nuoto o il volo? A queste domande tenta di rispondere (e spesso ci riesce) il bel libro Perché ridiamo. Alle origini del cervello sociale (Il Mulino, 2024) appena scritto dalla strana coppia formata dal neuroscienziato Fausto Caruana e l’etologa Elisabetta Palagi. I due autori sfatano una serie di luoghi comuni a partire dall’idea, molto diffusa, secondo cui il riso sarebbe una prerogativa esclusiva degli esseri umani. Al contrario, scrivono gli autori, il riso è davvero qualcosa di primitivo, animalesco e apparentemente anche un po’ patologico. A partire dal riso murino (ho imparato leggendo il libro che questo aggettivo si riferisce ai topi), passando in rassegna scimpanzé, cavalli, suricati, macachi, cani, lupi, bonobo, leoni africani e, finalmente, leoni marini e quindi foche, si scopre che scroscianti risate risuonano un po’ dappertutto nel regno animale e permettono ai nostri compagni non umani nuove possibilità di espressione. I ratti, per esempio, ridono a frequenze per noi inudibili (oltre i 20Khz), facendoci immaginare un mondo di risate murine totalmente invisibili per gli umani. I Bonobo ridono o sorridono durante le loro attività erotiche. I leoni marini esibiscono la cosiddetta faccia da gioco che sembrerebbe avere analogie con la risata o il sorriso.

Perch ridiamo Il libro che risponde a questa domanda

Il riso dunque non è una faccenda solo umana, ma ha radici biologiche antiche. Tra di noi, tuttavia, non ha sempre avuto una buona fama. Nel Medioevo, celebri proverbi ritenevano che il riso fosse una caratteristica degli sciocchi (risus abundat in ore stultorum). Fate un esperimento: quanti volti sorridenti vedete negli affreschi del medioevo e nei dipinti del Rinascimento? Pochissimi. Il riso era percepito come un’attività scomposta che perturbava la mente umana, quasi un minuscolo orgasmo da non esibire troppo. C’era qualcosa di vero, come dicono gli autori, si tratta di un’attività involontaria e convulsa. I tempi sono cambiati. Oggi è imperativo sorridere o ridere in ogni immagine.

Un’indagine approfondita e affascinante

Il riso è la punta di un gigantesco iceberg di comportamenti sociali che affondano nel mare dell’esistenza umana e non umana. Le declinazioni del riso sono quasi infinite e, leggendo il libro di Caruana e Palagi, si rimane affascinati nel vedere come i meccanismi neurali e biologici si intreccino con l’ambiente. Il riso non è soltanto qualcosa che si fa da soli. Si ride meglio in due, anzi in tre o in gruppo. Grazie alle relazioni sociali, il ridere si è evoluto in qualcosa di inaspettatamente complesso e variegato. Come dalla vocalizzazione ed emissione di suoni si sono sviluppate meraviglie come il canto o la musica, così da questa specie di respiri convulsi ed espressioni facciali è nata la risata.

Il libro è pieno di sorprese. Caruana e Palagi si divertono a sfatare il mito che vedrebbe il riso come l’espressione dell’umorismo o del comico. A volte è sicuramente così, ma nella maggioranza dei casi si ride per stabilire relazioni sociali fra gli individui di una specie o, persino, fra specie diverse. Il riso e il suo parente stretto, il sorriso, sono una promessa che facciamo agli altri. Chi ride insieme, fa parte dello stesso gruppo. Chi non ride con noi è un estraneo. Sapere quando ridere e quando non ridere è fondamentale in una comunità. Addirittura, osservando come le persone ridono, è possibile capire se siano amici o amanti. Le coppie che si amano, ridono insieme: tu falla ridere perché/ha pianto troppo insieme a me cantava Little Tony. Tutte le relazioni umane trovano espressione nella risata. Si ride per non piangere, si ride di, si ride con, si ride per. Del riso, come dell’essere per Aristotele, si dice e si pratica in molti modi. Per Caruana e Palagi, «lo studio del riso vero e proprio – quella vocalizzazione particolare che, come ogni altra vocalizzazione animale, emerge in uno specifico contesto sociale e che ha caratteristiche acustiche e visive specifiche». Loro sono bravissimi a rivelare le basi neurali ed etologiche di questa attività rivelandone i più minuti dettagli circa le dinamiche neurali e motorie che consentono, per esempio, di passare da una risata a un pianto in poche centinaia di millisecondi o di riconoscere e imitare un sorriso altrui.

Ma cosa fa ridere?

Tre ipotesi hanno avuto maggiore importanza: superiorità, sollievo e incongruenza. Secondo la prima si ride dall’alto verso il basso, si ride di qualcuno che viene visto come inferiore. È la risata di scherno dei bambini che prendono in giro qualcuno come accade al povero violinista di Rotschild di Anton Čechov; vecchio e malandato è oggetto delle risate dei ragazzi del paese. Triste ma vero. Più allegra è la seconda opzione: si ride per sollievo. Gli scimpanzé pensavamo che fosse un serpente e invece era un ramo! Oppure, pensavamo che Kung Fu Panda si dovesse spiaccicare cadendo da una pagoda e invece è rimbalza su un tenda. È la risata dei neonati quando la mamma gioca a Bubu settete! Una bella sorpresa ci fa ridere.

Non finisce qui. C’è il terzo caso, molto interessante, si ride per una incongruenza inaspettata: l’ordine stabilito viene travolto. Nella favola di Hans Christian Andersen, i sudditi ridono quando vedono che l’imperatore è nudo. È quel riso che ci strappa un esito inaspettato; il segnale di un ribaltamento delle aspettative e dei pregiudizi. Questo tipo di riso ha un ruolo culturale fondamentale: è l’araldo del progresso e, non a caso, Umberto Eco lo mise al centro del suo più celebre romanzo, il Nome della Rosa, come sintomo che qualcosa che si credeva pomposamente vero, non è altro che una consuetudine. In questo senso, annuncia il sovvertimento dell’ordine costituito e la nascita di qualcosa di nuovo, ma non casuale: l’imprevisto deve rivelare un nuovo ordine che mette in discussione il presente. Il riso è rivoluzionario, anarchico, temerario e, come ha scritto Roberto Mercadini, è «il battito di coda dell’esistenza, il modo in cui essa procede e si traccia una strada nelle tenebre».

Passato e presente

Per questo, oggi non si ride più come una volta. La nostra cultura si vede troppo perfetta per poter ridere di se stessa. Comici e stand-up comedian si lamentano che la società non accetti l’ironia. Hanno ragione. Una società che non ammette l’errore, che pensa di essere sempre nel giusto, non può ammettere l’umorismo.



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