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Il Sesto Senso dopo 25 anni continua ad essere un film semplicemente magnifico

da | Ago 2, 2024 | Tecnologia


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Il Sesto Senso fin dall’inizio abbracciò un’atmosfera lugubre, fredda, ma anche elegante, in cui riecheggiavano esteticamente gli echi del thriller d’autore del cinema del passato, da Hitchcock a Dario Argento a Ahsby, con un cromatismo altamente ricercato, una regia che nobilitava gli interni trasformandoli in un labirinto spettrale dove lo psichiatra Malcolm Crowe (Bruce Willis) e il piccolo Cole Sear (Haley Joel Osment) cercano in un qualche modo di aiutarsi a vicenda. Philadelphia fa da sfondo a questo dedalo di segreti, enigmi con cui Il Sesto Senso crea una struttura unica per il cinema di quegli anni. Siamo molti distanti dalla mera spettacolarità visiva tout court che Hollywood amava riversare, fatta di sangue, effettacci e rumori. Shyamalan invece sceglie un ritmo lento, compassato, piani sequenza prolungati, alternati all’uso di primi e primissimi piani. Ed è armato di queste idee che ci parla di Crowe, psicologo infantile, che dopo un’elegante serata di gala viene aggredito in casa da un ex paziente, che gli spara lasciandolo gravemente ferito. Otto mesi più tardi, Crowe è separato dalla moglie Anna (Olivia Williams) e si trova per le mani il caso del piccolo Cole, simile a quello dell’ex paziente che lo ha aggredito. Cole è un bambino di 9 anni che vive in uno stato di costante terrore per un terribile dono che ha avuto in sorte: può entrare in contatto con i morti. Da quel momento, con l’aiuto di Crowe, il piccolo Cole però capirà che non è maledetto, ma che al contrario evidentemente ha il compito di aiutare quelle anime in pena a sistemare eventuali “sospesi” qui sulla Terra. Il Sesto Senso, in tutto questo, passa da classicità ad innovazione con una fluidità incredibile, regalandoci un viaggio nel concetto di paranormale a metà tra razionalità e una visione del rapporto tra qui e l’altrove inedita.

Dalla paura ad una visione armoniosa dell’oltretomba

Il Sesto Senso vive dell’intensità straziante del piccolo Osment, sorta di naufrago inerme dentro un’odissea a tratti tanto più terrificante, perché vissuta attraverso i suoi occhi, quelli di un bambino con un rapporto difficile con la madre Lynn (Toni Collette) e con una solitudine totalizzante. Shyamalan sa come giocare con la suspense, come generarla, legarla ad un’ansia che mette Cole e lo spettatore partecipi dello stesso terrore, che si nutre di simboli: il freddo improvviso, il fiato che si condensa, il silenzio, quei corpi spesso consumati, distrutti, persi nell’ultimo momento di agonia. Bruce Willis si muove con un gioco in sottrazione straordinario, fa del suo Crowe un erede dei protagonisti del grande noir cinematografico, più europeo però che americano. Il finale del film è senza dubbio di uno dei colpi di scena più incredibili del cinema di sempre, ennesima prova della straordinaria abilità da parte di M. Night Shyamalan di saper lavorare a livello di scrittura sulle emozioni e il coinvolgimento dello spettatore in modo semplicemente sublime. Qualcosa che poi avrebbe dimostrato anche in Signs, The Village, Split, Glass e da ultimo Bussano alla porta. Quella rivelazione è solo l’ultimo passo verso una sorta di riappacificazione verso il mondo dei fantasmi, la morte, il concetto di un qualcosa oltre la carne, che è il vero, grande tema di questo film. Un tema che si rivela a poco a poco, nutrendosi di un’evoluzione narrativa capace ancora oggi di stupire per perfetta sincronia delle singole parti e crescendo impeccabile, per come sa allontanarsi di cliché dell’horror commerciale.

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Forse l’horror non è il genere che più si addice alla regista esordiente, penalizzata anche da un ovvio confronto con la filmografia del padre

La paura in Il Sesto Senso, come il mistero, cede il passo all’empatia, alla commozione anche, con Cole che infine confessa alla madre il suo dono. Poi c’è il risolvere enigmi, delitti, il riaffiorare di vite sospese spezzate e dimenticate. Il plot twist vede Crowe capire di essere anche lui morto, quella sera di mesi prima, che la moglie non l’ha allontanato, egli è un altro spettro in cerca di pace. L’oltretomba per Shyamalan è tutto intorno a noi, non in qualche luogo religioso o sepolcro, morte e vita sono così strettamente connesse, da paradossalmente mettere da parte persino il concetto di Dio. Il Sesto Senso fu un successo semplicemente straordinario, con quasi 675 milioni di dollari di incasso, sei candidature ai Premi Oscar, tra cui Miglior Film, Sceneggiatura Originale, Regia, e naturalmente Attore Non Protagonista per il fenomenale Osment. Inserito da allora in quasi tutte le classifiche tra i più grandi film americani di sempre, nonché tra i più grandi horror mai concepiti, ha lasciato un segno profondissimo nella memoria emotiva del pubblico. Negli anni a venire ad ogni modo, diversi film avrebbero cercato di recuperarne la visione armoniosa e non più conflittuale con l’aldilà, ma naturalmente solo pochi vi sarebbero riusciti in termini qualitativi. A 25 anni di distanza Il Sesto Senso rimane non solo uno dei film più iconici di fine XX secolo, ma anche una delle prove supreme di quanto con la mera scrittura (questo elemento che il cinema di oggi ha messo in secondo piano) e un’idea di cinema concreta, si possa donare al pubblico qualcosa di elevato ma allo stesso tempo accessibile.



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Scritto da Flavio Perrone, consulente informatico e appassionato di tecnologia e lifestyle. Con una carriera che abbraccia più di tre decenni, Flavio offre una prospettiva unica e informata su come la tecnologia può migliorare la nostra vita quotidiana.

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