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Il mese di luglio 2024 è stato il secondo mese più caldo della storia a livello globale. Secondo i dati pubblicati giovedì da Copernicus, il programma europeo di osservazione della Terra, la temperatura media dell’aria ha raggiunto i 16,91°C, rimanendo appena al di sotto del record stabilito a luglio 2023. In compenso il mese appena trascorso ha segnato un altro primato: a luglio sono stati infatti registrati i due giorni più caldi di sempre, il 22 e il 23 luglio con una media globale di 17,16 gradi. “Anche se la media mensile è leggermente inferiore a quella di luglio 2023, il mese di luglio ha comunque stabilito un record“, osserva Julien Nicolas, climatologo di Copernicus. Ed è “sempre più probabile” che il 2024 sarà l’anno più caldo mai registrato.

Parigi al tramonto

I Giochi si svolgeranno in condizioni climatiche simili a quelle sperimentate durante la storica ondata di caldo del 2003, con rischi per atleti e lavoratori

Un anno infernale

I dati del programma europeo segnano la conclusione di una serie di 13 mesi consecutivi di record di temperature globali, iniziata nel giugno dell’anno scorso. Ma l’esperto avverte: “Le conseguenze del riscaldamento climatico non sono iniziate all’inizio di questa serie. Le osserviamo da diversi anni e la fine di questa serie di record non segnerà nemmeno la fine delle conseguenze del riscaldamento climatico”.

Il ruolo dell’Oscillazione Sud

Secondo il climatologo, va tenuto in considerazione che le temperature così elevate degli ultimi mesi coincidono con lo sviluppo del fenomeno climatico di El Niño nel Pacifico, che tende a riscaldare la superficie degli oceani e del pianeta per via di cambiamenti nei modelli di pressione atmosferica sui mari. Non per niente anche nella stagione 2015/2016 – cioè durante l’ultimo grande El Niño – era stata registrata una simile serie di temperature record.

Questo fenomeno atmosferico proveniente dall’Oceano Pacifico e che influenza l’intero globo è in realtà parte di ciclo climatico naturale, non causato dall’attività umana, chiamato Oscillazione Sud (Southern Oscillation) che alterna periodi di riscaldamento (El Niño) e di raffreddamento (La Niña) delle acque oceaniche del Pacifico. Questi eventi si alternano in un ciclo di circa 2-7 anni, tuttavia, sebbene questo processo non abbia un’origine antropica, il cambiamento climatico prodotto dall’uomo può influenzarne la frequenza, l’intensità e le conseguenze.

Terminata da alcuni mesi la fase di caldo innescata da El Niño, ora il Pacifico si trova in una fase neutrale, prima dell’arrivo nei prossimi mesi de La Niña. “Il fatto che osserviamo temperature leggermente inferiori rispetto a un anno fa rientra in questa transizione tra condizioni più calde della media nel Pacifico equatoriale legate a El Niño e condizioni più fredde della media che ci aspettiamo per la fine dell’anno“, spiega Nicolas. L’arrivo de La Niña, infatti, agirà da freno alle temperature medie globali, anche se i modelli meteorologici divergono su quella che sarà la reale intensità del fenomeno.

Rimane il fatto che questo ciclo di record mensili è un punto di svolta, poiché la temperatura media globale ha ormai raggiunto l’aumento di 1,5°C rispetto all’era preindustriale, il limite fissato dall’accordo di Parigi sul clima, stipulato alla Cop21 del 2015. Un valore limite che non dovrebbe essere superato “per evitare le conseguenze più catastrofiche del riscaldamento globale“, avverte il climatologo. Ora bisognerà vedere se i record degli ultimi mesi “corrispondono a uno spostamento o a un cambiamento radicale del sistema climatico“, anche se “ci vorranno alcuni anni per averne la conferma definitiva“.



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