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In un contesto già segnato da forti tensioni, il presidente francese Emmanuel Macron ha escluso categoricamente la possibilità di formare un nuovo governo de la gauche in Francia. Una decisione importante, e che va oltre il recente successo elettorale del Nuovo fronte popolare (Nfp), la coalizione di sinistra, che con oltre 190 seggi conquistati in parlamento ha retto contro l’avanzata del Front National.Un governo di sinistra rappresenterebbe una minaccia alla stabilità istituzionale“, ha dichiarato il presidente in un comunicato ufficiale, scatenando immediate reazioni da parte dell’opposizione. La decisione di Macron segue una serie di incontri ad alto livello con i principali leader politici, incluso un colloquio con Marine Le Pen, figura di spicco dell’estrema destra, e vero ago della bilancia nella formazione del prossimo esecutivo.

Il nome proposto dalla sinistra

La proposta dell’Nfp di nominare Lucie Castets, giovane economista di 37 anni, come primo ministro era già stata fermamente respinta da Macron e dai partiti di centrodestra. Questi ultimi, avevano puntato il dito contro il programma di spesa pubblica proposto dalla candidata di sinistra, che è considerato insostenibile, per via del record del deficit di bilancio e di debito pubblico. Una bocciatura che è stata resa ancora più cocente con l’annuncio da parte di Macron di un nuovo giro di colloqui, perché delude le aspettative che molti avevano a sinistra.

La mia responsabilità è che il paese non venga bloccato né indebolito“, ha affermato, lanciando un appello alla responsabilità a tutti i leader politici. Appello che, chiaramente, non sembra essere stato colto dai partiti di sinistra che hanno risposto con veemenza alla decisione del premier francese, chiamando a proteste di piazza e ventilando persino la possibilità di impeachment del presidente.

La situazione di stallo

La Francia rimane perciò in una situazione di stallo istituzionale, mentre il presidente continua le consultazioni alla ricerca di un compromesso che al momento appare impossibile da trovare. Va detto, però, che la situazione in cui si trova il presidente non è delle più semplici, perché le elezioni anticipate di luglio hanno restituito un’Assemblea nazionale frammentata, con l’alleanza di sinistra del Nuovo fronte popolare (Nfp) in testa, seguita dall’alleanza centrista di Macron con circa 160 e dal Rassemblement National di Marine Le Pen con 140. Secondo gli analisti politici, formare una coalizione stabile in un simile contesto appare estremamente difficile.

Perché dunque escludere un governo di sinistra, se hanno vinto le elezioni? Il presidente ha giustificato la sua decisione affermando che un esecutivo guidato dall’Nfp “sarebbe immediatamente censurato da tutti gli altri gruppi rappresentati nell’Assemblea nazionale“, potendo minare alla stabilità istituzionale del paese. In realtà, la vera premura di Macron è quella di isolare l’ala più radicale dell’alleanza di sinistra e in particolare La France Insoumise (Lfi) di Jean-Luc Mélenchon. Infatti, il presidente ha invitato socialisti, ecologisti e comunisti a “cooperare con le altre forze politiche“, in un chiaro tentativo di dividere il fronte di sinistra. Una strategia che non pare al momento molto efficace. La leader dei Verdi, Marine Tondelier, per esempio, ha dichiarato che “la gente dovrebbe liberarsi di Macron per il bene della democrazia”. Mentre Manuel Bompard, coordinatore nazionale dell’Lfi, ha definito le dichiarazioni di Macron un “inaccettabile colpo di stato antidemocratico“.

Come in ogni buon film d’azione, anche in politica non può mancare il fattore tempo ad aggiunge ulteriore pressione su un Macron già sotto enorme stress: si avvicina infatti la scadenza per la presentazione della bozza di bilancio 2025, entro il 20 settembre, e il piano quadriennale di riduzione del deficit dovrà essere consegnato alla Commissione europea. In questo contesto, il fedelissimo di Macron, Gabriel Attal, che aveva persino tentato di dimettersi, continua a guidare un governo ad interim, mentre la Francia attraversa quello che è ormai diventato il periodo più lungo senza un esecutivo stabile dal dopoguerra.



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