La realtà virtuale sembrava pronta a conquistare il mondo fra promesse di videogiochi mozzafiato e film che catturavano lo spettatore a tutto tondo. Invece, dopo un esordio scintillante legato alle (presunte) potenzialità del metaverso, è sbiadita, relegata a un sogno tecnologico incompiuto. Oggi, uno degli utilizzi più sorprendenti arriva dalle carceri, dove Creative Acts, un’organizzazione non-profit californiana, la impiega come strumento di riabilitazione.
In un ambiente segnato dall’isolamento, i detenuti utilizzano la VR per affrontare ansie e difficoltà legate al reinserimento, esplorando scenari di vita quotidiana e trasformando le loro emozioni attraverso espressioni artistiche come il teatro, la poesia e la pittura. Non si tratta di un semplice passatempo, ma di un percorso per prepararsi a una nuova fase della loro vita.
Il programma di realtà virtuale nelle carceriSam Richardson/Creative Arts
Il programma di realtà virtuale nelle carceri californiane
L’adozione di tecnologie immersive segna un’evoluzione audace nella riabilitazione penitenziaria, un campo che raramente viene associato all’innovazione hi-tech. Fondata nel 2018, Creative Acts porta questo approccio in carceri come la Central California Women’s Facility e la Corcoran State Prison in California. Per massimizzare l’impatto emotivo e riabilitativo delle esperienze di realtà virtuale, il programma si basa su una collaborazione diretta con i partecipanti, i quali identificano i propri principali fattori di stress, guidando così la creazione di contenuti specifici.
“Le sessioni di realtà virtuale sono progettate per simulare situazioni che notoriamente generano ansia in individui che si reintegrano nella società dopo lunghi periodi di detenzione“, spiega Sam Richardson, portavoce di Creative Arts. “Un curriculum integrato mira ad affrontare tali problematiche combinando un programma artistico validato e la realtà virtuale, quest’ultimauna tecnologia già impiegata con successo nel trattamento del Ptsd (il disturbo post traumatico da stress, ndr)”. Inoltre, la startup raccoglie suggerimenti dai partecipanti per sviluppare scenari futuri che possano risultare utili al loro percorso di riabilitazione. C’è voluto un anno perché Creative Acts convincesse Meta a donare 20 visori VR e due delle sue macchine per l’igienizzazione durante la fase pilota.
Il programma si concentra sui detenuti in isolamento, spesso confinati fino a 22 ore al giorno in celle minuscole. Con i visori, possono osservare scenari che riaccendono ricordi o speranze. La detenuta Samantha Tovar, ad esempio, ha visitato la Thailandia, scoprendo nuove location dopo anni di reclusione. Le sessioni sono seguite da workshop guidati da ex carcerati: un volo in deltaplano si trasforma in poesia, una scena parigina in un dipinto.