Sulla fragilità delle finanze vaticane occorre ricordare che l’Obolo di San Pietro, dove confluiscono le offerte dei fedeli, nel 2023 ha incassato 52 milioni di euro a fronte di spese per 109 milioni. E nel 2024 si era fatta sentire anche l’Associazione che rappresenta i dipendenti laici del Vaticano, mettendo nero su bianco in una nota una denuncia per la gestione discrezionale delle risorse finanziarie da parte dall’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica (Apsa), l’organismo della Curia che gestisce il patrimonio economico della Santa Sede: “Com’è possibile che, con un deficit di bilancio che si dilata in modo preoccupante, come la Segreteria per l’Economia spesso ci ricorda, soprattutto in occasione delle sacrosante richieste di crescita professionale, l’Apsa riesca invece a ricevere un beneplacito che supera ogni ragionevole ostacolo? Ci sono altri Dicasteri della Santa Sede che hanno beneficiato di questo “strappo alla regola” e sulla base di quali motivazioni?”
Nello stesso anno, come riporta Aci stampa, Jean-Baptiste de Franssu, presidente del consiglio di Sovrintendenza dello Ior dal 2014, in una riunione a porte chiuse aveva definito i criteri Esg (ambientali, sociali e di governance) come “non coerenti con i principi cristiani”, poiché “convertiti in un mezzo politico per la trasformazione della società in questioni come il gender o altre relazioni”, tanto da affermare che lo Ior “si distanzia da loro”. Forse dimenticando le sferzate del papa contro la lentezza politica davanti alla catastrofe climatica.
Il papa dei poveri
Papa Francesco è stato identificato come un progressista anche per le sue posizioni considerate “ambientaliste” e per aver più volte preso la parola contro l’inazione dei governi e della politica contro la crisi del clima. Sono state queste dichiarazioni a guadagnargli l’ammirazione popolare e il riconoscimento come un influente leader globale nelle battaglie contro le disuguaglianze sociali.
Così si è fatto conoscere come un papa attento agli ultimi e ha preso spesso la parola in difesa dei migranti e dei poveri. Il suo primo viaggio fu a Lampedusa, nel 2013, dove gettò una corona di fiori nel Mediterraneo, anni dopo definito “un enorme cimitero dove molti fratelli e sorelle sono privati persino del diritto di avere una tomba”. Altrettanto dirompente fu il gesto del suo elemosiniere, il cardinale Konrad Krajewski, che nel 2019 si occupò di riattaccare la luce agli inquilini di un palazzo occupato a Roma, pur di non lasciare le famiglie bisognose ricoverate presso l’edificio senza energia.
Ma sono state guerre che papa Francesco ha condotto più attraverso la sua abilità di parlare in modo diretto, di comunicare quasi in opposizione all’establishment della Curia (mondo del quale era estraneo e che avrebbe dovuto riformare) e aver ridotto la distanza dalla gente. Per quanto la destra più conservatrice lo abbia identificato come un rivoluzionario radicale, papa Francesco ha avuto un approccio molto moderato, se non timido, nel passare dalle parole ai fatti e negli ultimi anni non è stato in grado di concretizzare una rivoluzione complessiva della Chiesa cattolica.
È stato un pontefice capace di parlare l’idioma di internet e di interessarsi ai temi della tecnologia, ma la sua popolarità non lascerà un segno di trasformazione reale della Chiesa. È destinato a spegnersi con la sua morte. O a essere inglobato dalla comunicazione di un nuovo pontefice altrettanto presenzialista. Bergoglio ha avuto molti primati dalla sua: il primo pontefice gesuita, il primo dall’America del sud, il primo a rompere il tabù del nome di san Francesco. Ma non quello di aver riformato realmente il suo gregge.