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Fine dell’Universo, arriverà molto prima di quel che pensiamo

da | Mag 17, 2025 | Tecnologia


La fine dell’Universo è (più) vicina. Rilassatevi e mettetevi comodi, perché sta per arrivare una brutta notizia che probabilmente vi costringerà a cambiare qualche piano per il futuro. Se pensavate di poter dormire sonni tranquilli per i prossimi 101100 (1 seguito da 1100 zeri) anni, pare proprio che dovrete fare pace col fatto che invece l’Universo finirà molto prima, tra appena 1078 anni. Ad affermarlo, in un articolo pubblicato sul Journal of Cosmology and Astroparticle Physics, due fisici e un matematico della Radboud University, in Olanda, che hanno mostrato come gli oggetti più “esotici” dell’Universo – buchi neri, stelle di neutroni, nane bianche e così via – hanno una stabilità temporale molto minore di quello che pensava, e che in particolare sono soggetti a un fenomeno di evaporazione che, per l’appunto, ne accorcia la vita. Il fenomeno, in verità, era già noto, ma finora si pensava si applicasse solo ai buchi neri, ed è proprio a questa “estensione” che si deve la revisione al ribasso dell’aspettativa di vita dell’Universo. “La fine dell’Universo – spiega Heino Falcke, uno degli autori del lavoro – arriverà molto prima di quel che si pensava. Ma per fortuna ci vorrà ancora molto tempo”.

Buchi neri non neri, vuoto non vuoto

Il lavoro appena pubblicato è l’ampliamento di un articolo precedente, uscito due anni fa e firmato dagli stessi autori, in cui si era vagliata l’ipotesi secondo la quale, per l’appunto, i buchi neri non fossero le uniche entità soggette al fenomeno di evaporazione, o, per usare un linguaggio più preciso, all’emissione della radiazione di Hawking. Di cosa si tratta? Ipotizzato per la prima volta dal fisico britannico Stephen Hawking nel 1974, è un modello secondo il quale i buchi neri non sarebbero completamente “neri”, ma in grado di emettere una debole radiazione termica a causa di effetti quantistici. In altre parole, è possibile che una piccola quantità di energia “evapori” dai buchi neri, in modo estremamente lento ma continuo, il che, su scale temporali lunghissime, porterebbe i buchi neri a perdere la loro massa e la loro energia fino a scomparire. Il fenomeno è legato al fatto che, secondo la meccanica quantistica, il vuoto non è davvero vuoto, ma piuttosto “pieno” di coppie di particelle e antiparticelle che si formano e si annichilano a vicenda costantemente, in tempi brevissimi. Se una di queste coppie si forma vicino all’orizzonte degli eventi di un buco nero, può accadere che una particella viene catturata dal buco nero mentre l’altra gli sfugge: l’energia necessaria per questa separazione è “attinta” dalla massa del buco nero stesso, che quindi diminuisce nel tempo. Questo processo porta all’emissione di radiazione termica, nota appunto come radiazione di Hawking, che ha una temperatura inversamente proporzionale alla massa del buco nero – più piccolo è il buco nero, maggiore è la temperatura della radiazione emessa.

In evaporazione

Il nuovo studio, come anticipato, mette in discussione l’idea di Hawking: gli autori, infatti, affermano di aver provato che la produzione di particelle e antiparticelle dovuta alla curvatura dello spaziotempo possa avvenire anche senza la necessità di un orizzonte degli eventi. In particolare, secondo i calcoli dei tre scienziati il fenomeno potrebbe accadere anche in prossimità di oggetti molto densi e/o massicci come stelle di neutroni, nane bianche e ammassi di galassie: “Dopo un periodo di tempo molto lungo, questo porterebbe all’evaporazione di ogni oggetto presente nell’Universo, e non solo dei buchi neri – ha spiegato Falcke – il che cambia non solo la nostra comprensione della radiazione di Hawking ma anche la nostra prospettiva sull’Universo e sul suo futuro”. I dettagli tecnici della cosa sono abbastanza complicati: l’idea è che oggetti sufficientemente densi possano esercitare sulle coppie particelle-antiparticelle una sorta di “forza mareale” che le separa: questo processo comporta non solo un’emissione diretta di particelle che sfuggono alla gravità (simile a una componente della radiazione di Hawking), ma anche una radiazione proveniente dalla superficie, che deriva dall’energia delle particelle prodotte sia all’interno dell’oggetto che all’esterno ma assorbite dalla sua superficie.

La fine dell’Universo avverrà prima del previsto, ma quando?

La scoperta fondamentale contenuta nel lavoro appena pubblicato è che il tempo di evaporazione di un oggetto massiccio dipende principalmente dalla sua densità media, e in particolare vi è legato da una legge a potenza: applicando questi calcoli ai resti stellari, gli autori dell’articolo hanno mostrato che le stelle di neutroni hanno un tempo di evaporazione di circa 1068 anni, i buchi neri di massa stellare hanno una vita massima di circa 1067 anni e le nane bianche (meno dense di stelle di neutroni e buchi neri) di circa 1078 anni. È proprio a queste ultime che si deve il ribassamento del limite superiore generale per la vita della materia dell’Universo: le stime precedenti, che non tenevano conto del meccanismo ipotizzato da Falcke e colleghi, ipotizzavano infatti per le nane bianche vite lunghissime, addirittura fino a 101100 anni. Per dare un’idea di quanto sia lungo un intervallo temporale del genere, si tenga conto che l’età attuale dell’Universo è di circa 13,8 × 109 anni; fortunatamente, anche se la nuova stima è molto più breve della precedente, si tratta comunque di un tempo incredibilmente, incommensurabilmente lungo. E comunque dovremo cominciare a preoccuparci molto prima: sempre che riuscissimo a sopravvivere a crisi climatica, minacce pandemiche e instabilità geopolitiche, bisogna tener conto che tra circa 5 miliardi di anni il Sole avrà esaurito il suo combustibile e comincerà a spegnersi. Allora saranno guai.



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Scritto da Flavio Perrone, consulente informatico e appassionato di tecnologia e lifestyle. Con una carriera che abbraccia più di tre decenni, Flavio offre una prospettiva unica e informata su come la tecnologia può migliorare la nostra vita quotidiana.

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