Come ci si prepara ai disastri del clima? Sapere in anticipo se sta arrivando una tempesta, un’inondazione o una siccità può salvare vite, ma anche consentire di spostare il bestiame, fondamentale per la sussistenza. Sono sempre di più i progetti che stanno nascendo nei paesi in via di sviluppo. Secondo i dati dell’iniziativa Early Warnings4all, nel 2024 108 paesi impiegano un qualche strumento di allerta per monitorare e prevenire rischi di vario tipo, più del doppio rispetto ai 52 del 2015. Per comprendere l’importanza di questo tipo di tecnologie, basti pensare che un riferimento al loro impiego è presente nei documenti finali di tutte le Cop (le conferenze globali sul clima) e che il segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres nel 2022 aveva dichiarato perentorio: “Nel giro di cinque anni tutte la popolazional mondiale deve essere protetta da questi sistemi di allerta precoce”.
Sudan, terra di contrasti
Le cose si stanno muovendo. “I paesi meno sviluppati hanno mostrato i miglioramenti più significativi”, scrive Early warnings for all, e tra questi “i paesi privi di sbocchi sul mare e le piccole isole superano il tasso globale”. Questi sistemi, prosegue, “non sono lussi, ma strumenti efficaci in termini di costi per salvare vite, ridurre le perdite economiche, e fornire un ritorno sull’investimento anche di dieci volte”.
Come in Sudan, dove il clima è segnato da contrasti violenti: durissime siccità nel Darfur, alluvioni mortali negli Stati orientali. L’agenzia meteorologica nazionale un tempo giocava un ruolo cruciale nell’aiutare le comunità a prepararsi a entrambe le emergenze. Ma quando, nell’aprile 2023, scoppiò la guerra (un conflitto civile dall’esito ancora incerto), la sua infrastruttura crollò e tutti gli attori statali coinvolti nella protezione civile furono costretti a spostarsi: i server furono distrutti nei combattimenti attorno all’aeroporto di Khartoum, e gli scienziati climatici del paese si dispersero oltre confine, trovando rifugio in Egitto, Uganda, Kenya ed Etiopia.