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Axolotl, ora sappiamo come lo straordinario anfibio riesce a farsi ricrescere interi arti e organi

da | Giu 11, 2025 | Tecnologia


Famoso principalmente per il suo faccino sorridente, il buffo anfibio axolotl, appartenente al mondo delle salamandre, ha altre grandissime peculiarità. Per esempio riesce a far ricrescere i suoi arti, o addirittura i propri organi. A svelare oggi il complesso meccanismo con cui lo fa è stato un team di ricerca coordinato da James Monaghan, biologo presso la Northeastern University, secondo cui questa scoperta offre indizi utili per la medicina rigenerativa. “Potrebbe aiutare nella guarigione delle ferite senza cicatrici, ma anche in qualcosa di ancora più ambizioso, come far ricrescere un intero dito”, ha commentato l’autore dello studio, pubblicato di recente su Nature Communications.

Il superpotere dell’axolotl

Gli axolotl sono creature particolarmente interessanti per la comunità scientifica perché possiedono una straordinaria capacità rigenerativa, che permette loro di far ricrescere interi arti e persino organi. Tuttavia, nessuno fino ad ora è riuscito a capire come fa un axolotl a sapere quale parte del corpo far ricrescere e, per esempio, se perde una mano, come fa a sapere che deve far ricrescere solo quella, invece che l’intero arto.

Un segnale preciso

Secondo i ricercatori del nuovo studio, questa capacità dell’anfibio axolotl (chiamata memoria posizionale) è collegata a una molecola nota come acido retinoico. Esaminando gli axolotl, infatti, hanno scoperto che l’acido retinoico agisce come un segnale per le cellule rigenerative, chiamate fibroblasti, indicando loro cosa far ricrescere e quanto far ricrescere. “Le cellule possono interpretare questo segnale dicendo: ‘Sono nel gomito, e poi mi farà ricrescere la mano’ oppure ‘Sono nella spalla. Ho alti livelli di acido retinoico, quindi permetterò a quelle cellule di far ricrescere l’intero arto'”, ha commentato Monaghan.

Medicina rigenerativa

Comprendere questo meccanismo offre nuove informazioni che potrebbero risultare utili anche per gli esseri umani. L’acido retinoico, infatti, non è una molecola specifica dell’anfibio axolotl, ma anche noi ne siamo portatori, sebbene la assumiamo principalmente attraverso la dieta. A differenza di un axolotl, però, le cellule del nostro organismo non ascoltano allo stesso modo questi segnali. Quando ci facciamo male a un braccio, per esempio, i nostri fibroblasti depositano collagene e iniziano a formare una cicatrice. Negli axolotl, i fibroblasti ascoltano l’acido retinoico. “Se riusciamo a trovare il modo di far sì che i nostri fibroblasti ascoltino questi segnali rigenerativi, allora faranno il resto”, ha commentato Monaghan. “Sanno già come costruire un arto perché lo hanno fatto durante lo sviluppo”.

Le prossime ricerche sull’anfibio

C’è, tuttavia, ancora molto lavoro da fare. “Comprendere i segnali nel sistema rigenerativo di un axolotl è solo una parte del processo”, ha spiegato l’autore. “Il passo successivo è far luce sui meccanismi delle cellule stesse e a cosa mira l’acido retinoico al loro interno”. Secondo le prime ipotesi dell’autore il probabile bersaglio è il gene shox, noto per essere coinvolto nella regolazione dello sviluppo scheletrico umano. “Affinché la medicina rigenerativa possa progredire, dobbiamo capire dove risiede la memoria posizionale e come manipolarla e ingegnerizzarla”, ha concluso Monaghan. “Come si fa a far muovere una cellula dove si vuole? Modificare la sua memoria posizionale è fondamentale per questo”.



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Scritto da Flavio Perrone, consulente informatico e appassionato di tecnologia e lifestyle. Con una carriera che abbraccia più di tre decenni, Flavio offre una prospettiva unica e informata su come la tecnologia può migliorare la nostra vita quotidiana.

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