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DWallet, in Brasile i dati personali diventano moneta

da | Giu 16, 2025 | Tecnologia


In un contesto in cui il valore dei dati personali sfugge ancora al controllo degli individui, in Brasile ha preso il via un progetto che potrebbe modificare l’economia digitale e la privacy degli utenti. Il programma dWallet mira a trasformare i cittadini in titolari, e non più solo fornitori, della propria impronta digitale ed è il primo esperimento su scala nazionale che consente alle persone di guadagnare denaro reale vendendo i propri dati.

Nato dalla collaborazione tra il governo federale brasiliano e il settore privato, il programma pilota si presenta come un laboratorio concreto per testare una nuova forma di dividendo digitale. A gestirlo è Dataprev, società pubblica che sviluppa tecnologie per i programmi sociali, in partnership con DrumWave, azienda californiana specializzata nella valorizzazione dei dati. Sebbene la monetizzazione dei dati sia già una realtà nel settore privato, con giganti tecnologici che creano veri e propri mercati di dati, l’approccio brasiliano si distingue per essere il primo test su scala nazionale che vede un partenariato pubblico-privato con i cittadini al centro.

Come funziona la vendita di dati personali

L’architettura è semplice: ogni utente dispone di un portafoglio digitale dove può conservare i dati generati nella vita quotidiana — dalle transazioni agli accessi online fino ai messaggi e agli spostamenti conservati nelle app di riferimento — trattati come un vero conto risparmio. Quando un’azienda fa un’offerta per acquistare quei dati, l’utente può accettare e incassare immediatamente l’importo, trasferendolo su un conto corrente. Un modello che supera il vecchio paradigma dell’”accetta e prosegui“: qui la condivisione non è gratuita, ma contrattuale e remunerata.

L’idea non è nuova, ma finora era rimasta sulla carta. Negli Stati Uniti, ad esempio, il tentativo di introdurre un dividendo dei dati in California nel 2019 è naufragato. In Brasile, invece, il progetto ha già una cornice legislativa: un disegno di legge in discussione al Congresso classifica i dati come proprietà personale, sancendo un diritto patrimoniale e non solo inalienabile. Un cambio di prospettiva netto rispetto all’attuale legge sulla protezione dei dati, che potrebbe dare ai cittadini pieno controllo su ciò che producono online — dagli accessi agli e-commerce all’interazione con app e dispositivi connessi. Se approvata, la legge obbligherà le aziende a corrispondere un compenso agli utenti per la raccolta, l’elaborazione e la condivisione delle informazioni. Il progetto, nelle intenzioni, è anche uno strumento di inclusione finanziaria: il valore generato dai dati, stimato in oltre 40 miliardi di dollari entro il 2034 a livello globale, potrà essere redistribuito, anziché concentrarsi nelle mani di poche big tech.

Critiche e tentativi precedenti

Ma le criticità non mancano. Il Brasile è anche la nazione con il tasso più alto di analfabetismo funzionale dell’America Latina: secondo fonti governative, tre brasiliani su dieci non comprendono pienamente testi scritti o concetti digitali di base. Per molti, decidere se vendere i propri dati — e a chi — potrebbe essere più un atto passivo che consapevole. “Chiediamo a metà della popolazione, che spesso non sa leggere, di negoziare i propri dati come fossero azioni in borsa”, ha dichiarato Pedro Bastos, ricercatore di Data Privacy Brazil. Un’altra incognita riguarda l’accessibilità: infrastrutture digitali ancora carenti, soprattutto nelle aree rurali, potrebbero creare un mercato diseguale, dove chi genera meno dati finisce per essere escluso o sottovalutato. Senza contare i rischi di abuso: il precedente di Worldcoin — sospeso a gennaio dopo aver raccolto dati biometrici di centinaia di migliaia di brasiliani — è un campanello d’allarme sul potenziale sfruttamento di fasce vulnerabili in cambio di pochi spiccioli.

In Italia, diverse iniziative locali hanno cercato di introdurre forme di portafogli digitali civici o sistemi di incentivi basati sul comportamento, sollevando subito l’attenzione del Garante per la privacy. A Bologna, lo Smart Citizen Wallet premiava i cittadini per azioni considerate virtuose – dalla mobilità sostenibile alla raccolta differenziata – attraverso un sistema di crediti digitali. Un approccio simile è stato adottato nel Progetto Pollicino, promosso da Ministeri e fondazioni, che prevedeva premi per chi condivideva dati sulla propria mobilità tramite app. Anche a Fidenza, con la Carta dell’Assegnatario, si è introdotto un sistema di valutazione del comportamento degli inquilini delle case popolari, incidendo sull’accesso a benefici e servizi. In tutti e tre i casi, il Garante della Privacy ha avviato istruttorie per verificare la legittimità del trattamento dei dati, sottolineando il rischio di discriminazione, sorveglianza e profilazione sistematica dei cittadini.

Il dibattito, dunque, è tutt’altro che chiuso. Il progetto dWallet rappresenta una delle prime applicazioni concrete di un concetto finora astratto: i dati personali come capitale, non solo come problema da proteggere. In gioco c’è la ridefinizione di un’economia digitale in cui, per una volta, l’individuo torna al centro. Ma se il nuovo patto tra cittadini, aziende e Stato sarà equo o diseguale, lo diranno i prossimi mesi. E soprattutto lo diranno gli utenti, se davvero messi nella condizione di scegliere.



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Scritto da Flavio Perrone, consulente informatico e appassionato di tecnologia e lifestyle. Con una carriera che abbraccia più di tre decenni, Flavio offre una prospettiva unica e informata su come la tecnologia può migliorare la nostra vita quotidiana.

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