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Psycho, il film che fu la rivoluzione definitiva dell’horror riscrivendo il concetto di paura

da | Giu 17, 2025 | Tecnologia


Psycho di Alfred Hitchcock, a 65 anni dalla sua uscita in sala, rimane un titolo semplicemente fondamentale nella storia del cinema, uno di quei film capaci di attraversare epoche, cambiamenti e stravolgimenti della industry e della società, senza perdere un briciolo della propria importanza. Quel 16 giugno 1960 infatti, ad uscire in sala non fu un film solamente, ma una vera e propria rivoluzione, un nuovo modo di definire la paura.

Un film che ha infranto ogni regola della settima arte

Psycho di Alfred Hitchcock è un film che ha avuto un impatto così profondo, ed in modo così conclamato, che parlarne significa bene o male sempre correre sulla lama di un rasoio, il rischio è di lasciare qualcosa in disparte, dell’immenso patrimonio che rappresenta. Alfred Hitchcock creò qualcosa capace di essere motore di un rinnovamento, di illuminare l’horror di una nuova essenza, di rinnovarne semantica e linguaggio. La verità, è che parlare di Norman Bates, di quel motel che diventa simbolo stesso della follia, il centro di un iter connesso al tema del doppio, della concezione di sé, della contrapposizione nel senso più universale, significa parlare di un film capace di ritagliarsi una dimensione propria, un classico diverso da tutti gli altri. Alfred Hitchcock, come successo altre volte, crea il suo Psycho basandosi su un romanzo, scritto da Robert Bloch. Come altre volte, liquiderà la fonte primaria (poi rimaneggiata da Joseph Stefano) in modo alquanto sprezzante e sufficiente.

Lo farà sia prima (per avere i diritti a poco prezzo) che dopo l’uscita del film (per rivendicare il successo gigantesco). Ma in quelle pagine, c’è comunque ciò che serve a Hitchcock per creare una delle descrizioni più raggelanti e realistiche del concetto di follia, di violenza urbana. Psycho è in parte legato alle tristi imprese del serial killer Ed Glein, noto alle cronache qualche anno prima che tale termine venisse coniato. Psycho, arrivato dopo capolavori come Intrigo internazionale, La donna che visse due volte e L’uomo che sapeva troppo, è un altro monumento alla straordinaria abilità con cui Alfred Hitchcock utilizza e assieme cambia completamente il linguaggio cinematografico. Ma è anche il film dove più di tutti spinge sull’acceleratore nell’approfondire la costruzione della suspence, nel sovrapporre lo sguardo dello spettatore a quello dei personaggi, nel mascherare le proprie intenzioni, con colpi di scena assolutamente incredibili.

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Psycho è fin dall’inizio un film in cui il regista londinese si diverte ad ingannare, depistare, lo spettatore, mentre rompe ogni equilibrio, ogni regola fino allora decretata sacra dalla cinematografia e soprattutto dalla narrazione popolare della settima arte. Ad Alfred Hitchcock non interessava essere conservativo o accomodante con il grande pubblico, lui voleva stupirlo, lasciarlo a bocca aperta, cambiare le regole del gioco. Il film fin dal primo minuto distrugge ogni tabù, sia cinematografico che culturale, e si regge sul continuo contrasto tra verticale ed orizzontale, tra alto e basso, tra ombra e luce. Lo fa con un elegantissimo bianco e nero, che se inizialmente era una scelta meramente commerciale, per evitare di mostrare il sangue e incappare nella censura, poi egli utilizza in modo sagace, per donare un’inquietante eleganza gotica all’insieme. I primi 50 minuti di Psycho sono semplicemente geniali per il trabocchetto che nascondono, per come Hitchcock crea una tela in grado di imbrigliare l’occhio dello spettatore.

Egli mira ad illuderlo che il film sia un crime dalle venature leggere. Abbiamo Marion, una giovane e bella segretaria, che inganna il suo amante e datore di lavoro, Sam Loomis (John Gavin) e fugge con 40mila dollari. Marion ha la bellezza sensuale e graffiante di Janet Leigh, Hitchcock scandalizza tutti guidandoci dentro una camera dove tra i due si è appena consumato un rapporto sessuale. Poi ecco che la seguiamo nella sua fuga, attraversata da una tensione crescente, con quel poliziotto che sinistro e minaccioso la ferma, poi quella tempesta che la costringe a fermarsi lì, in quel motel abbandonato. Anthony Perkins, uno dei volti normalmente gentili del cinema americano di quegli anni, ancora oggi, dopo 65 anni, raggela per la straordinaria abilità con cui tratteggia il suo Norman Bates. La madre con cui dice di vivere è solo uno spettro dentro la sua mente, l’ha uccisa anni prima per gelosia, per quel complesso di Edipo che, ci viene spiegato nel finale, ha infine creato in lui una sovrapposizione di identità.

Una nuova concezione di violenza e di orrore cinematografico

Psycho è uno dei primi film a parlarci in termini psicoanalitici della follia omicida, a tratteggiare quindi, un quadro clinico che celebra il rinnovamento del genere, che da lì a una quindicina d’anni renderà i serial killer i nuovi, veri, grandi protagonisti dell’horror. Hitchcock celebra il suo amore per il macabro, il caso crudele, l’imprevedibilità e il conflitto anti-manicheo con quella scena pazzesca dell’omicidio di Marion. C’è quel violino che accompagna follemente la sua morte (ad oggi la più famosa della storia), c’è quel montaggio folgorante, il coltello, la tenda della doccia, il suo urlo disperato. Sequenza violentissima pur se priva dell’atto in sé, ma Hitchcock sa che l’occhio e la mente sono collegati, che l’evocazione più potente si basa sull’ignoto, il visto/non visto. Non gli importa poi tanto dello sviluppo della trama, neppure dei personaggi, gli importa legare per quanto possibile lo sguardo dello spettatore a quello delle cinepresa e sovrapporlo a quello di Marion, del killer.



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Scritto da Flavio Perrone, consulente informatico e appassionato di tecnologia e lifestyle. Con una carriera che abbraccia più di tre decenni, Flavio offre una prospettiva unica e informata su come la tecnologia può migliorare la nostra vita quotidiana.

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