Autore tra i più importanti della letteratura latina ma anche da sempre temuto dagli studenti per il suo stile complesso e involuto, Marco Tullio Cicerone è il protagonista della seconda prova della Maturità 2025 per chi appunto frequenta il liceo classico e deve affrontare la “versione”, ovvero la traduzione dal latino all’italiano di un brano classico. In particolare quest’anno tocca al De Amicitia, celebre dialogo filosofico dell’ultimo periodo di quest’autore.
Nato ad Arpino, oggi in provincia di Frosinone, nel 106 a.C. da una ricca famiglia di equites (ovvero l’ordine equestre, una classe sociale formata grazie a privilegi militari ed economici, di fondamentale importanza nell’ordinamento della Repubblica romana, appena sotto i nobili), Cicerone fu un avvocato, un letterato, un oratore e un uomo politico di primaria importanza nella sua epoca. Homo novus (cioè proveniente da una famiglia in cui nessuno prima di lui aveva ricoperto una carica pubblica), fu fin da giovane interessato alla politica e soprattutto alla filosofia e alla cultura greca. Trasferitosi con la famiglia a Roma, studiò dai migliori maestri dell’oratoria latina e si fece notare già dall’80 a.C. grazie a prime celebri orazioni. Iniziò presto il corsus honorum, cioè le varie tappe della carriera pubblica che lo portarono a essere questore, edile e poi pretore. L’apice della sua ascesa furono le celebri quattro Catilinarie del 63 a.C., discorsi invettiva contro la congiura ordinata da Catilina, e in seguito si distinse anche per la sua opposizione a Cesare e al tramonto della repubblica verso il principato da parte di Augusto.
Sono anni, questi, di altalenanti fortune politiche, tra periodi di esilio, sospetti e ritorno in auge. Si dedica quindi alla sua attività da avvocato con diverse orazioni difensive (Pro Sestio, Pro Caelio, In Pisonem, Pro Milone ecc.) ma anche alla composizione di diversi dialoghi filosofici (De oratore, De re publica, De legibus) in cui cerca di mettere ordine nel sistema filosofico latino, attingendo a piene mani dalla tradizione greca eppure fornendo alla lingua di Roma strumenti e veri e propri nuovi termini per esprimersi in modo autonomo. Alla fine degli anni Cinquanta si dedica ancora alla produzione oratoria e filosofica (De oratore, Brutus, Tusculanae disputationes, De natura deorum) e tenta un ultimo disperato tentativo di riabilitazione politica con le Filippiche, invettive contro Antonio, avversario di Ottaviano che lui cerca inutilmente di ingraziarsi e avvicinare alla classe senatoria. Inserito nelle liste di proscrizione, viene ucciso nel dicembre del 43 a.C. da sicari inviati dallo stesso Antonio.
L’opera scelta per la maturità 2025
Nell’ultima fase della sua vita, Cicerone compone appunto nel 43 a.C. il Laelius seu De Amicitia, più noto come De Amicitia (“Lelio o sull’amicizia”), leggermente diverso dalla sua produzione precedente per lo stile meno formale. Siamo in un periodo particolarmente difficile della sua vita, sia a livello privato (col ripudio della prima moglie e la morte della figlia prediletta Tullia) sia politico con tutte le controversie delle varie fazioni cesariane, pompeiane e poi augustee. Deluso anche dai suoi vecchi compagni e al contempo adulato dai suoi antichi avversari, il grande retore riflette sul valore assoluto dell’amicizia che, nell’accezione con cui era vissuta nell’antica Roma, si trattava principalmente della creazione di legami personali a scopo di sostegno politico.
Al di là dell’utilità all’interno della nobilitas, Cicerone vuole allargarne il concetto includendo i valori di virtus e probitas (virtù e rettitudine). Rifacendosi ai principi epicurei, sostiene in sostanza che la vera amicizia deve essere fine a sé stessa, svincolata da interessi e affinità, ma viene alimentata con l’impegno, il tempo e la consuetudine. La crisi della Repubblica romana, per lui, è anche legata al venire meno della fedeltà e dell’amicizia nel senso più puro tra i vari cittadini.