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Piani militari degli Stati Uniti contro l’Iran, quali sono le opzioni di Trump per un attacco

da | Giu 19, 2025 | Tecnologia


Il presidente americano Donald Trump ha ricevuto i piani militari degli Stati Uniti contro l’Iran, ma non ha ancora preso una decisione definitiva sull’opportunità di entrare direttamente nel conflitto mediorientale tra Israele e la Repubblica islamica. “Potrei farlo, potrei non farlo. Nessuno sa cosa farò“, ha detto ai giornalisti.

L’obiettivo principale di un’eventuale operazione sarebbe l’impianto sotterraneo di arricchimento dell’uranio di Fordow, considerato il fulcro del programma nucleare iraniano e protetto da difese che solo un’arma statunitense è in grado di superare. Nell’amministrazione si discute su come colpire senza innescare una guerra su vasta scala, mentre nella coalizione trumpiana si fanno più nette le divisioni tra falchi e contrari all’intervento.

La macchina bellica americana in movimento

Il segretario alla Difesa Pete Hegseth ha confermato davanti al Congresso che il Pentagono sta fornendo i piani militari degli Stati Uniti contro l’Iran al presidente Trump per un eventuale intervento a fianco di Israele. La strategia operativa è stata affidata al generale Michael “Erik” Kurilla, comandante del Centro di comando (Centcom, nel gergo militare) per il Medio Oriente, a cui Hegseth ha dato piena libertà d’azione, anche a costo di ignorare le posizioni più prudenti dello Stato maggiore. Soprannominato “Gorilla” per i suoi modi spicci, Kurilla vede negli ayatollah il principale nemico dell’America fin dagli anni Ottanta, segnati dalla crisi degli ostaggi a Teheran e dall’attentato contro i marines a Beirut, eventi che segnarono una profonda umiliazione per Washington.

Che si decida di attaccare o no, la mobilitazione militare americana nella zona ha comunque già raggiunto dimensioni straordinarie. Caccia F-16, F-22 e F-35 stanno già intercettando droni e missili iraniani, mentre 31 aerei da rifornimento si stanno spostando dalle basi europee verso la zona operativa. Washington ha ordinato il dispiegamento di tre portaerei nella regione: la “Vinson”, già presente, sarà raggiunta dalla “Nimitz” e dalla “Ford” che navigano a velocità massima verso il teatro di crisi. Complessivamente, il piano prevede lo schieramento di oltre 250 velivoli da combattimento, un numero superiore all’intera flotta di caccia israeliana. Il generale Kurilla non ritiene però sufficiente un tale dispiegamento di forze. Altre due portaerei inizialmente destinate ad attività nell’Atlantico potrebbero essere dirottate verso il Mediterraneo. Un maggior numero di portaerei distribuite tra Golfo Persico, Mar Rosso e Mediterraneo orientale consentirebbe agli F-18 imbarcati di raggiungere tutte le basi e installazioni dei pasdaran – i Guardiani della Rivoluzione – comprese quelle più remote nelle regioni meridionali e orientali dell’Iran, finora al di fuori del raggio operativo degli aerei israeliani.

L’obiettivo Fordow e i rischi di escalation

Nella strategia elaborata dal generale Kurilla, la sfida decisiva riguarda l’impianto di Fordow, un complesso sotterraneo scavato a cento metri di profondità sotto una montagna, dove l’Iran conduce le attività più sensibili del suo programma nucleare. Per colpire questo obiettivo, nell’isola di Diego Garcia sono stati schierati alcuni bombardieri B-52 che saranno raggiunti da quattro B-2 Spirit, velivoli stealth progettati per penetrare le difese nemiche. Questi bombardieri sono gli unici in grado di trasportare la Moab, l’ordigno convenzionale più potente dell’arsenale americano: oltre tredici tonnellate con 2.400 chilogrammi di esplosivo ad alto potenziale. Tuttavia, l’efficacia di tale armamento contro Fordow resta incerta. L’unico impiego reale della Moab, nel 2017 contro le caverne dell’Isis in Afghanistan, ha prodotto risultati limitati, così come i bombardamenti della Nato nel 1999 contro obiettivi sotterranei serbi. Per questi precedenti, si valuta anche un piano alternativo con paracadutisti israeliani per espugnare l’impianto dal suolo.

La reazione dell’Iran resta il principale elemento di incertezza. Nonostante oltre mille bombardamenti, i pasdaran continuano a opporre resistenza con missili Sejil equipaggiati con testate da 650 chilogrammi di tritolo. Le riserve iraniane includono inoltre ogive con agenti nervini, armi chimiche letali che potrebbero causare stragi anche se disperse da missili intercettati. Un eventuale coinvolgimento diretto degli Stati Uniti potrebbe spingere le milizie sciite irachene ad attaccare le basi del Pentagono a Baghdad, mentre lo Stretto di Hormuz – snodo fondamentale del commercio globale – resta esposto alla minaccia di mine, droni navali e sciami di imbarcazioni veloci dei Guardiani della Rivoluzione.



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Scritto da Flavio Perrone, consulente informatico e appassionato di tecnologia e lifestyle. Con una carriera che abbraccia più di tre decenni, Flavio offre una prospettiva unica e informata su come la tecnologia può migliorare la nostra vita quotidiana.

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