La saga tratta temi attualissimi: in un’epoca di omologazione e conformismo come questa, che premia l’apparenza, modelli inaccessibili di bellezza e successo, e marginalizza chi non rientra nei canoni accettabili, Shrek offre strumenti per leggere criticamente la società. Oggi siamo immersi in narrazioni iper-patinate, nel culto degli influencer e dell’effimero, mentre Shrek ci ricorda che la diversità e l’autenticità sono valori fondamentali per la vita di ognuno. Farlo dialogare col presente non è solo un esercizio ricreativo o un’operazione nostalgica – anche se in parte ovviamente lo è – ma un atto che considera il pop un’arma per cambiare lo sguardo sul mondo.
L’anno prossimo, tra l’altro, uscirà Shrek 5.
Ma io giuro che Dreamworks lo ha annunciato mentre già scrivevo il libro! Si tratta di un evento importante, perché il personaggio – o, se vogliamo, il “brand” – in tutto questo tempo si è mantenuto vivo, e virale, grazie ai meme, che lo hanno reso accessibile alle nuove generazioni. Shrek è un fenomeno che da cinematografico è diventato digitale: un simbolo condiviso, ibrido, che continua a parlare.
Sin dagli esordi, il franchise ha sempre giocato con la critica agli stereotipi, diventando in un certo senso precursore anche dell’odierno “body positive”. Ci sono altri fenomeni che la saga ha anticipato?
Il secondo capitolo, del film ma anche del mio libro, esplorano la parodia di Hollywood e della società dello spettacolo – con riferimenti che vanno fino al filosofo francese Guy Debord (noto oppositore della società dello spettacolo, ndr). Lo spettatore viene catapultato in un luogo culturalmente e socialmente distante, dove l’apparenza è premiata e tutto ciò che non rientra nei canoni viene rigettato. Nel film si vedono insegne come “Starbucks” e “Versace”, e le ville delle principesse sembrano caricature delle moderne influencer. Tutto ha l’aria di essere una critica anche al capitalismo, con la Fata Madrina a rappresentare il potere e lo sfruttamento nascosti sotto il luccichio dell’intrattenimento effimero.
Qual è il personaggio più riuscito secondo lei?
Fiona, a mio avviso, è il primo, vero personaggio femminista del cinema d’animazione. Disney aveva già lanciato Mulan e Pocahontas, ma erano figure ancora “politicamente accettabili”. Fiona spezza completamente i canoni, influenzando anche i successivi lavori della Pixar: lei si salva da sola, e salva anche Shrek e Ciuchino. Inoltre, autodeterminandosi, sceglie di rimanere orchessa perché si sente più a suo agio nella forma che rispecchia meglio chi è davvero. Nel terzo film, l’impronta femminista è ancora più evidente: le principesse si uniscono nella lotta contro Azzurro, che è l’archetipo del principe delle fiabe e, soprattutto, una parodia della mascolinità tossica che vediamo ancora oggi rappresentata nei media, online e in alcuni film Disney.