Sono 120 le basi Nato in Italia, di diversa natura e gestione, a cui si aggiungono 20 basi segrete degli Stati Uniti, la cui posizione non è nota per ragioni di sicurezza. Dopo l’ingresso di Finlandia e Svezia, l’alleanza militare della Nato ha raggiunto i 32 stati membri, di cui l’Italia è uno dei paesi fondatori, avendo firmato il Patto Atlantico nel 1949 per creare un’organizzazione di sicurezza in caso di attacco da parte dell’Unione sovietica. Dopo il periodo di distensione dovuto alla dissoluzione dell’Unione sovietica, sembrava che le basi italiane avessero perso la loro funzione, ma con l’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia sono state riportate in uno stato di pre-allerta.
I tipi di basi Nato in Italia
Le basi Nato e degli Stati Uniti su suolo italiano sono di quattro tipi. Le prime furono concesse agli Stati Uniti negli anni Cinquanta e, pur essendo sotto controllo italiano, gli Stati Uniti mantengono il controllo militare su equipaggiamenti e operazioni. Poi ci sono le basi Nato gestite dall’alleanza, le basi italiane messe a disposizione della Nato e le basi a comando condiviso tra Italia, Stati Uniti e Nato.
Le più importanti, da nord a sud, sono quelle di Solbiate Olona (in provincia di Varese) e Ghedi (Brescia) in Lombardia, di Vicenza, Camp Ederle e Caserma Del Din e Motta di Livenza (Treviso) in Veneto, di Aviano (in provincia di Pordenone) in Friuli Venezia Giulia, di Poggio Renatico, nel Ferrarese, in Emilia Romagna, di La Spezia in Liguria, di quella nella tenuta di Tombolo e Camp Darby (Pisa) in Toscana (anche se si tratta di una base italiana dove operano anche militari statunitensi), di Cecchignola (Roma) e Gaeta (Latina) nel Lazio, di Mondragone (Caserta) e Napoli in Campania, di Taranto in Puglia e di Trapani Birigi e Sigonella, nel territorio del Comune di Lentini (Siracusa), in Sicilia.
Cosa fanno le basi Nato in Italia
A Sigonella si trova il comando di monitoraggio in tempo reale delle truppe a terra e da qui partono i droni di sorveglianza che oggi monitorano i confini ucraini. A Napoli hanno sede uno dei due centri di comando della Nato (mentre l’altro è nei Paesi Bassi) la base dei sommergibili statunitensi nel mediterraneo, così come il comando delle forze aeree e dei marines statunitensi. Infine, ad Aviano e Ghedi si trovano alcune bombe atomiche B61-3, B61-4 e B61-7. La base di Aviano è usata dall’aeronautica statunitense, mentre quella di Ghedi dall’Italia. Le atomiche sono statunitensi, ma in caso di guerra possono essere lanciate anche da aerei italiani.
Come già detto, oltre a queste ci sono altre 105 strutture tra centri di ricerca, depositi, poligoni di addestramento, stazioni di telecomunicazione e antenne radar sparpagliate sul territorio, più le 20 basi segrete statunitensi. Queste basi, come quelle negli altri paesi Nato, godono di extraterritorialità e non sono soggette all’ordinamento giuridico della nazione in cui si trovano. Tutto ciò che accade al loro interno è coperto da segreto, così come il numero delle forze presenti.
Il ruolo della basi italiane dopo l’attacco statunitense all’Iran
Dopo l’attacco degli Stati Uniti in Iran lo scorso 22 giugno, è scattata l’allerta per le basi Nato in Italia, con l’obiettivo di aumentarne la sicurezza in caso di un contrattacco da parte dello Stato iraniano. Il giorno successivo, il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha dichiarato che “le basi italiane non sono state utilizzate” durante i raid di domenica scorsa.
Al momento, il governo italiano non ha ricevuto richieste da parte di Washington per l’uso delle basi nel conflitto con l’Iran, nonostante questo, le forze dell’opposizione chiedono maggiori garanzie. Secondo il patto bilaterale firmato nel 1951, per gli Stati Uniti è previsto l’obbligo di notificare e giustificare ogni utilizzo “non ordinario” delle basi, ottenendo anche l’autorizzazione preventiva dal governo italiano.
Nel frattempo, il Viminale ha intensificato la sorveglianza su 29mila obiettivi sensibili, compresi i siti legati a interessi statunitensi e israeliani, che potrebbero essere esposti a rischi di attentati terroristici. Secondo molti esperti, tuttavia, la probabilità che l’Iran decida di ampliare ulteriormente il conflitto al di fuori del Medio Oriente, rimane molto bassa.