Inoltre, alcuni accusano l’Onu di essere troppo dipendente dai finanziamenti degli Stati più ricchi, che possono esercitare pressioni sulle sue agenzie. Il bilancio ordinario delle Nazioni Unite, che per il 2025 ammonta a 3,72 miliardi di dollari, è coperto per circa il 22% dagli Stati Uniti, seguiti da Cina, Giappone e Germania.
Da almeno sette anni, le Nazioni Unite vivono una crisi di liquidità dovuta al mancato versamento puntuale delle quote da parte di numerosi Stati membri. Al 7 marzo 2025, solo 75 dei 193 Paesi avevano pagato integralmente la loro quota al bilancio ordinario dell’Onu. Due dei maggiori contributori, Stati Uniti e Cina, sono tra i principali responsabili della crisi: Washington è in ritardo con un debito di 1,5 miliardi di dollari, mentre Pechino ha ritardato il versamento fino a fine anno, contrariamente alle consuetudini precedenti.
Secondo i critici più duri, il Consiglio di Sicurezza e l’Assemblea Generale hanno tradito lo spirito e i principi contenuti nella Carta istitutiva, come dimostrano i numerosi scandali, dal genocidio in Ruanda del 1994 alla corruzione gigantesca legata al programma umanitario Oil for Food scoperta nel 2004.
Le proposte di riforma
In risposta a questa situazione, Guterres ha annunciato la creazione di una task force interna per rivedere in modo strutturale il funzionamento dell’organizzazione.
Tra le priorità indicate dall’UN80 ci sono la razionalizzazione dei mandati del Consiglio di Sicurezza e dell’Assemblea Generale, la semplificazione delle strutture operative; la digitalizzazione dei processi burocratici; il potenziamento della trasparenza e della rendicontazione verso i cittadini e i contribuenti dei Paesi membri.
Il segretario generale ha però preso le distanze da paragoni con l’iniziativa statunitense per l’efficienza governativa promossa da Donald Trump e Elon Musk, che ha portato a drastici tagli alla pubblica amministrazione federale. “Stiamo parlando di processi, metodologie e obiettivi completamente diversi”, ha precisato Guterres. “Questa è una continuazione e un’intensificazione del lavoro che abbiamo sempre fatto”.
Da tempo, al centro del dibattito, vi è la riforma del Consiglio di Sicurezza: molti paesi chiedono di ampliarlo per riflettere il mondo multipolare attuale. Tra i candidati all’ingresso permanente ci sono Germania, Giappone, India, Brasile e Stati africani. Altre proposte riguardano la limitazione o abolizione del diritto di veto, o almeno la sua sospensione nei casi di crimini contro l’umanità. Tutti vorrebbero cambiare l’Onu, ma a causa dei contrastanti interessi nazionali nessuno ci riesce.
Il ritorno di Trump
Il ritorno alla presidenza di Donald Trump ha aggiunto una dose di urgenza al processo di riforma. Il capo della Casa Bianca ha espresso giudizi ambivalenti sull’Onu: da un lato ne riconosce il potenziale, dall’altro la accusa di “non essere all’altezza delle sue responsabilità”.
Nel frattempo, Washington ha smantellato l’agenzia Usaid, responsabile degli aiuti umanitari, e ha tagliato l’83% dei programmi di cooperazione internazionale, mentre anche il Regno Unito ha ridotto significativamente i propri aiuti allo sviluppo. Questo ha aggravato le difficoltà delle agenzie umanitarie delle Nazioni Unite, che si trovano costrette a tagliare razioni alimentari a rifugiati come i Rohingya in Bangladesh, o a congelare assunzioni per contenere i costi.
Secondo i segmenti politici più nazionalisti anti-occidentali, da un lato, e atlantisti più rigidi dall’altro, l’Onu è un ente dannoso: superato il vecchio bipolarismo della Guerra fredda e mandato in crisi l’unipolarismo, oggi le crisi locali richiederebbero analisi e interventi che, negli ultimi anni, solo la forza delle grande potenze è stata in grado di attuare.
Di sicuro, se il vecchio multilateralismo è inadatto a gestire queste crisi, per ora l’alternativa al sistema attuale che si prospetta sembra un mondo più disordinato, diseguale e pericoloso.