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La guerra dei mondi di Steven Spielberg, l’analisi di un film che non ha mai smesso di inquietarci

da | Giu 29, 2025 | Tecnologia


Ancora oggi su La guerra dei mondi di Steven Spielberg sarà difficile troviate due persone che la pensino allo stesso modo. Uscito in sala per la prima volta vent’anni fa, il 29 giugno del 2005, questo scifi dai toni post apocalittici e dalla ricca semantica politica, continua a far discutere, ad essere uno dei titoli più affascinanti e discussi del genere nel XXI secolo.

Un film con cui Spielberg prende le distanze dal passato

La guerra dei mondi nasce sul set di Minority Report, quando Steven Spielberg e Tom Cruise cercano un altro progetto a cui lavorare assieme, partendo da qualche famoso romanzo. La scelta cade sul capolavoro di H. G. Wells, diventato uno dei momenti più iconici della storia della radio grazie al geniale sceneggiato del 1938 di Orson Welles e poi arrivato sul grande schermo in un film eccellente diretto da Byron Haskin nel 1953. La sceneggiatura, firmata da Josh Friedman e David Koepp, si distanzia parecchio, se non quasi completamente, dall’originale cartaceo. La guerra dei mondi diventa in breve un progetto in cui Steven Spielberg riversa la sua volontà di mostrarci un’altra possibile narrazione sugli alieni. Lo fa forse perché deciso a superare le atmosfere rassicuranti e ottimiste che lo avevano contraddistinto in due capolavori del genere come Incontri ravvicinati del terzo tipo ed E.T. – L’extraterrestre. Nossignore, qui gli alieni sono brutti, sporchi e cattivi, anzi cattivissimi.

Il loro concept è fedele al romanzo, frutto di una collaborazione con la Industrial Light & Magic di George Lucas e artisti come Doug Chiang, Randal M. Mutra. Il risultato finale è un’orda meccanica, implacabile, sanguinaria, che travolge il mondo senza pietà. La guerra dei mondi è però una guerra americana, Spielberg è fedele alla tradizione degli anni ‘50 e ’60, quando i film in sala palesavano la metafora sulla Guerra Fredda. Attaccare il mondo al cinema da sempre significa attaccare gli Stati Uniti, ed è qui che troviamo Tom Cruise nei panni di Ray Ferrier, un operaio portuale. Divorziato da tempo da Mary (Miranda Otto), è padre incasinato della piccola Rachel (Dakota Fanning) e del ribelle Robbie (Justin Chatwin). Spielberg crea un road-survival movie dove inserisce molti riferimenti alla sua narrativa. E quindi ecco la famiglia, il divorzio, il tema della separazione, che è personale, la crisi della realtà per come la conosciamo, travolta dagli alieni e le loro macchine distruttrici.

mel brooks

La parodia di Star Wars e delle altre saghe fantascientifiche avrà un secondo capitolo con molti degli attori originali

Bisogna tornare a Salvate il soldato Ryan per trovare un’introduzione di Steven Spielberg che sia più efficace, più scioccante e di maggiore impatto emotivo di quella che rende La guerra dei mondi a tratti uno dei più raggelanti e spaventosi scifi del XXI secolo. Quei giganteschi Tripodi meccanici spuntano dal terreno, dove l’umanità non li aveva mai trovati a dispetto di scavi archeologici, pozzi petroliferi e quant’altro (un po’ assurdo ma vabbè). Arrivano come una punizione divina dal cielo attraverso i fulmini, non si presentano neanche, neanche chiedono un caffè, ma cominciano a polverizzarci. Quella sequenza, tra le più violente, apocalittiche e terrificanti che Spielberg abbia mai girato, vale da solo il prezzo del biglietto in un racconto che però, ha più di qualche problema di struttura e coerenza interna. Tom Cruise, reduce dall’ennesimo successo con la saga di Mission Impossible, non sempre riesce a donare verosimiglianza, umanità e la giusta evoluzione al suo personaggio, a causa di una sceneggiatura a volte instabile.

Cruise è però convincente nel modo in cui ci mostra un uomo, un uomo qualsiasi, che cerca di capire come sopravvivere, lui e la sua prole, in un paese dove tutto sta scivolando verso l’anarchia. Le scene di distruzione in La guerra dei mondi sono tra le più incredibili e le più realistiche mai viste nel genere, il grande omaggio di Spielberg a quei film che da ragazzino aveva divorato nelle sale. A vent’anni di distanza, non è insolito poi porsi un termine di paragone con l’altro blockbuster ispirato al capolavoro di Wells, cioè Independence Day di Roland Emmerich. Se proprio bisogna essere sinceri, al netto della sua essenza di americanata patinata, più palese ma meno furba, il film con Will Smith e Jeff Goldblum rimane forse uno spettacolo più riuscito e anche più coerente al libro di Wells, benché meno strutturato a livello di temi. Steven Spielberg si connette qui ad una visione dell’umanità degna di Cormac McCarthy. Non esiste più solidarietà, esiste solo l’egoismo, la sopravvivenza che ci mette di fronte ai nostri simili armati e disperati.

Tra metafore politiche e grande spettacolo

La sensazione di disastro e paura ne La guerra dei mondi sono costanti, con le masse che vediamo disperate accalcarsi su strade, traghetti, ci ricordano gli ebrei che fuggono dall’Olocausto che lui stesso aveva già rappresentato. Questo è un altro Olocausto, e lui ne riprende la simbologia storica con i vestiti che scivolano nel vento, i corpi che diventano cenere, il massacro indiscriminato e folle, gli alieni che evidentemente si reputano la razza superiore. I Tripodi, questi Tripodi, protetti da uno schermo invisibile, apparentemente invincibili, contro cui si infrange l’eroica resistenza dell’esercito degli uomini, sono tra gli alieni più inquietanti, paurosi, terribili che si siano mai visti. Fateci caso (e questa è un’altra autocitazione) un po’ come ne Lo Squalo, anche qui Steven Spielberg li caratterizza con l’invisibilità, fino a quasi alla fine e poi soprattutto l’elemento sonoro. Qualcuno troverà qualche similitudine in questo con Signs di M. Night Shyamalan.



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Scritto da Flavio Perrone, consulente informatico e appassionato di tecnologia e lifestyle. Con una carriera che abbraccia più di tre decenni, Flavio offre una prospettiva unica e informata su come la tecnologia può migliorare la nostra vita quotidiana.

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