Rivedere Nip/Tuck, oggi, ha un sapore diverso. Il mondo dello spettacolo e degli appassionati di serie tv ha infatti accolto con sgomento, in questi giorni, la notizia della morte di Julian McMahon, l’attore australiano scomparso all’età di 56 anni dopo una diagnosi di cancro. Figlio di un ex primo ministro australiano e volto amatissimo delle soap australiane, McMahon aveva fatto poi il grande passo conquistando anche il pubblico americano e poi di tutto il mondo grazie a serie popolarissime come Streghe (era Cole, il demone-fidanzato di Phoebe), Fbi: Most Wanted, la recente The Residence su Netflix ma anche al cinema, avendo interpretato il Dottor Destino nei due film dei Fantastici 4 usciti nel 2005 e 2007. Ma il ruolo che forse ha segnato più di tutti la sua carriera è stato quello del chirurgo Christian Troy nella serie Nip/Tuck, creatura di Ryan Murphy ancor prima dei fasti di Glee.
Rivoluzionaria e spregiudicata
Nip/Tuck è stata una pietra miliare inedita nel mondo della serialità, considerando soprattutto che è andata in onda dal 2003 al 2010, momento in cui le tv americane iniziavano a scoprire l’alto potenziale narrativo di quelli che fino ad allora erano solo telefilm (pensiamo al successo di Lost & co.). In questo caso però, alla complessità delle trame, si aggiungevano temi arditi e controcorrenti come la chirurgia estetica e gli eccessi in generale. McMahon era infatti Christian Troy che assieme al collega e amico Sean McNamara (Dylan Walsh) gestisce una popolare clinica di chirurgia estetica a Miami: playboy sregolato l’uno, posato uomo di famiglia l’altro, affrontano i casi più o meno superficiali che gli si presentano quotidianamente cercando di bilanciare business e questioni etiche. La vita di entrambi, nel corso delle stagioni, subisce ovviamente drammi, contraccolpi e radicali cambi di rotta, e soprattutto Troy scopre che oltre al culto sfrenato dei soldi, del sesso e della giovinezza ci sono zone d’ombra e profondità che prima o poi vanno esplorate.
In Nip/Tuck Ryan Murphy riusciva ad assecondare la sua inclinazione immarcescibile per i volti, i corpi e l’estetica patinati (innumerevoli le guest star: da Jacqueline Bisset a Peter Dinklage e Joan Rivers) con un lato più dark difficilmente visto nelle sue produzioni successive. I casi della McNamara/Troy sono i più disparati, dalle ricche signore ossessionati dalle modificazioni continue agli ex carcerati in cerca di rifarsi i connotati, dalle vittime di ustioni e incidenti alle persone transgender (tra le sue varie rivoluzioni, questa serie fu la prima a parlare di transessualità in modo non stereotipico, anche se con alcuni cliché, ma erano comunque i primi anni Duemila). Gli interventi di chirurgia estetica, mostrati in alcuni dettagli espliciti, rimanevano impressi non solo per la loro valenza fisica, ma soprattutto per il complesso sistema di valori che andavano a modificare o stravolgere. Lo stesso percorso emotivo dei personaggi, che si trovano a navigare amori, tradimenti, traumi, crimini e moti d’animo inaspettati.
Fin dalla sua sigla, A Perfect Lie cantata dai The Engine Room, Nip/Tuck è seducente e disturbante, lucidissima e increspata dalle mille crepe di una contemporaneità sempre più scissa. Julian McMahon, in tutto questo, riusciva a rendere credibile un personaggio egotico e inizialmente respingente come Troy: se McNamara è fragile e vittima delle sue aspettative di perfezione fin dall’inizio, il collega vive una spirale discendente e catartica molto meno ovvia. Carismatico e indisponente, affascinante e arrogante, Troy è anche un uomo altamente autodistruttivo, che fa delle ossessioni e del dominio le sue caratteristiche principali; ma quando gli anni che passano, gli amori che se ne vanno e le insicurezze aumentano, anche lui mette in dubbio tutto, sempre col suo fare esplosivo, ma poi raggiungendo una liberazione che forse è ancora più autentica.