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Big tech, gira che ti rigira le trovi sempre dietro le migliori startup dell’intelligenza artificiale

da | Lug 8, 2025 | Tecnologia


Chi sta vincendo la corsa per l’innovazione nell’intelligenza artificiale? In tre parole: i soliti noti, ovvero le Big Tech, per intenderci. Questa la tesi di un rapporto pubblicato martedì 8 luglio da Somo, ong olandese che da cinquant’anni si occupa di multinazionali e della loro influenza sulla società.

L’organizzazione ha analizzato la catena del valore delle dodici startup e scaleup di intelligenza artificiale più grandi, da Open AI ad Anthropic, da Mistral a Inflection, da Aleph Alpha ad Hugging Facel: la conclusione, spiega, è che sono tutte fortemente “dipendenti” dalle big tech. Non sfidanti: dipendenti. Chi sperava in un cambio della guardia – per quanto i nuovi entrati non siano certo estranei alla mentalità predatoria che caratterizza il mondo della tecnologia digitale – è servito.

In che modo si sostanzia la dipendenza

Ma in che modo si sostanzia questa dipendenza? Le AI generative sono costruite sulla base di complesse catene del valore, in cui ogni tassello si lega all’altro in un quadro di legami a doppio senso. Si comincia, ovviamente, con i chip: undici su dodici fanno affidamento su processori prodotti da Nvidia, che domina il mercato della progettazione di questi componenti con una quota che oscilla tra l’80% e il 95%. Un predominio dovuto non solo alla capacità di design ma anche al software usato per ottimizzare i chip, che sarebbe – secondo Somo – in grado di fare la differenza e isolare l’azienda di Jensen Huang dalla concorrenza.

Non stupisce che Nvidia valesse (a giugno 2025) circa 3.400 miliardi di dollari, con un incremento del 735 % a partire dal lancio di ChatGpt nel 2022. Il margine operativo nel 2024 è stato del 55,5%.

Facciamo un elenco di quanto raccolto dalla ong olandese: per quanto riguarda l’hardware, secondo Somo tutti tranne Inflection AI (che fa affidamento su Intel, grande rivale dell’azienda di Jensen Huang) usano quello di Nvidia. “Alcune startup impiegano chip di Amazon, Google, Microsoft e Cerebras, ma sembrano complementari più che sostitutivi”, commenta con Wired Margarida Silva, che ha coordinato il rapporto. Per esempio Anthropic (che impiega anche materiale Google e Amazon), Mistral (anche Amazon e Cerebras), Aleph Alpha (anche Cerebras). Una parabola che ha già portato il gigante americano guidato da Jensen Huang sotto la lente dell’authority francese per la concorrenza per pratiche anti-competitive.

Il cambio di passo della AI generativa

Il problema è che farne a meno non è semplice. Quanti chip servono per addestrare un modello linguistico di grandi dimensioni (Llm)? Tanti, argomenta Silva. A questo punto le strade sono tre: comprarli in proprio – e servono parecchi quattrini – , usare un supercomputer pubblico affittandone il tempo-macchina, o fare un accordo con i grandi del tech, che mettono a disposizione i propri data center, naturalmente a determinate condizioni. Secondo Somo, la gran parte delle startup analizzate ha scelto la terza opzione. Anche perché, aggiungiamo noi, il cambio di passo dell’AI generativa ha modificato in profondità il paradigma del digitale, che finora è sempre stato più o meno questo: pochi investimenti in capitale fisico, contano solo i “cervelli” degli sviluppatori, e una buona divisione marketing e commerciale. È per questo che tante aziende sono nate in un garage: per avviarle non c’era bisogno di molto altro.



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Scritto da Flavio Perrone, consulente informatico e appassionato di tecnologia e lifestyle. Con una carriera che abbraccia più di tre decenni, Flavio offre una prospettiva unica e informata su come la tecnologia può migliorare la nostra vita quotidiana.

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