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L’AI toglierà posti di lavoro, ora lo ammettono anche gli amministratori delegati delle grandi aziende

da | Lug 9, 2025 | Tecnologia


Non è più un timore, ma una certezza: la trasformazione del lavoro causata dall’intelligenza artificiale è già iniziata. E sta colpendo esattamente dove un tempo c’era maggiore stabilità: nei ruoli impiegatizi. I dati dagli Stati Uniti parlano chiaro: secondo l’associazione ASF (American Staffing Association), nel 2024, il 40% dei candidati per posizioni impiegatizie non è riuscito a ottenere un colloquio, mentre le assunzioni per ruoli con stipendi oltre i 96.000 dollari hanno toccato i minimi dal 2013.

Non si tratta solo di una crisi occupazionale temporanea, ma dell’inizio di una trasformazione che vede l’intelligenza artificiale ridefinire completamente il mondo del lavoro impiegatizio. E sebbene l’AI non sia l’unico fattore in gioco, il suo impatto comincia a farsi sentire in settori come finanza, consulenza, marketing e analisi dei dati. A dirlo non sono solo i soliti “apocalittici dell’AI”, ma gli stessi amministratori delegati che guidano le aziende più influenti del mondo.

I Ceo rompono gli indugi

Se fino a pochi mesi fa, la narrativa dominante era improntata alla prudenza diplomatica – l’AI, si diceva, non avrebbe distrutto il lavoro, ma lo avrebbe trasformato, creando nuove opportunità – ora invece molti dirigenti hanno smesso di nascondersi dietro frasi rassicuranti e iniziano a formulare previsioni esplicite. Un recente articolo del Wall Street Journal ha fotografato questo cambio di rotta con un titolo diretto: I CEO cominciano a dire ad alta voce che l’intelligenza artificiale cancellerà posti di lavoro”. Tra i più netti c’è Jim Farley, CEO di Ford Motor, che all’Aspen Ideas Festival di pochi giorni fa ha dichiarato senza mezzi termini: “L’intelligenza artificiale sostituirà letteralmente la metà di tutti i lavoratori impiegatizi negli Stati Uniti“.

Finora pochissimi leader aziendali avevano riconosciuto pubblicamente l’impatto potenziale dell’AI sui posti di lavoro. Una delle poche eccezioni è Marianne Lake, CEO della divisione Consumer e Community Banking di JPMorgan Chase. A maggio ha detto chiaramente agli investitori che l’organico operativo potrebbe ridursi del 10% nei prossimi 3-5 anni a causa dell’introduzione di tecnologie AI. Per una banca con oltre 280.000 dipendenti, si tratterebbe di almeno 28.000 posti di lavoro in meno.

Anche Andy Jassy, CEO di Amazon, ha già messo le mani avanti. In una nota interna già nel 2024 ha previsto una riduzione della forza lavoro nei prossimi anni proprio per effetto dell’adozione dell’intelligenza artificiale. Senza citare numeri precisi, è facile intuire le proporzioni: con 1,5 milioni di dipendenti nel mondo, anche solo un taglio del 5% significherebbe circa 75.000 posti di lavoro in meno.

L’Allarme (fondato) di chi crea l’AI

Le previsioni più drastiche arrivano da chi l’intelligenza artificiale la sviluppa. Dario Amodei, CEO della startup Anthropic (tra i principali concorrenti di OpenAI), ha dichiarato in un’intervista a Axios che metà dei lavori entry-level potrebbe sparire nel giro di uno o cinque anni. Ha stimato un possibile tasso di disoccupazione negli Stati Uniti tra il 10% e il 20%, esortando politici e dirigenti a smettere di “eludere la questione”.

Le sue parole trovano eco in uno studio pubblicato di recente, “The Potentially Large Effects of Artificial Intelligence on Economic Growth” di Goldman Sachs, che ipotizza che l’AI possa sostituire fino al 25% dei posti di lavoro esistenti, mettendo a rischio circa 300 milioni di impieghi a tempo pieno su scala globale. Secondo il rapporto, il 63% delle mansioni attuali potrebbe essere in parte automatizzato, mentre solo il 30% delle professioni rimarrebbe del tutto inalterato.



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Scritto da Flavio Perrone, consulente informatico e appassionato di tecnologia e lifestyle. Con una carriera che abbraccia più di tre decenni, Flavio offre una prospettiva unica e informata su come la tecnologia può migliorare la nostra vita quotidiana.

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