La promozione spudorata dei brand tech non finisce qui. La figlia di Radford, Faith, una biochimica che ha studiato a Georgetown, ha la brillante idea di spostare un grosso detrito che le blocca la gamba, procurandosi un’emorragia quasi mortale. Per fortuna, Mark Goodman, suo fidanzato e fattorino di Amazon, è in grado di creare un laccio emostatico con il nastro da imballaggio (perché, come sottolinea lui stesso, è un “professionista“). Anche i personaggi minori non vengono risparmiati da questa dinamica. Quando l’eroico drone di Amazon si ribalta, un senzatetto contribuisce a ripararlo solo dopo essere stato ricompensato con una carta regalo dell’azienda da mille dollari.
Una piccola dimenticanza
Queste scene sarebbero abbastanza scandalose da risultare comiche, se non fosse che parliamo di un film che critica la sorveglianza governativa senza fare alcun accenno al ruolo dell’industria tecnologica. Dai livestream à la Anonymous con la Costituzione degli Stati Uniti a Radford che pedina digitalmente i suoi figli, passando per un progetto segreto che rivela la presenza degli alieni sulla Terra, il vero nemico è chiaro: il governo degli Stati Uniti e la sua tecnologia.
Negli unici frangenti in cui emerge un legame tra minacce alla privacy è aziende private, la colpa è dell’ingerenza del governo. A un certo punto, per esempio, Radford usa il software di sorveglianza, Guardian, per controllare a distanza una Tesla e portare la figlia ferita al sicuro. All’inizio del film, David, il figlio di Radford, offende il padre rimproverandogli che il suo lavoro consiste nello spiare i carrelli di Amazon. Ma soprattutto, il programma governativo segreto Goliath – il motivo ultimo dietro l’invasione dei cyborg alieni – che sottrae le conversazioni private degli americani. Non c’è alcun cenno al fatto che giganti del tech come Jeff Bezos o Elon Musk siano associati a controversi processi di raccolta dati, dalla mancata protezione delle informazioni personali fino al recente colpo di stato digitale negli Stati Uniti. La cosa non sorprende, considerando che parliamo di un film di Amazon. Ma è comunque un’omissione clamorosa.
Se proprio devo trovare qualcosa di positivo su La guerra dei mondi, Lee si è preso il rischio di rifare un thriller molto amato con un punto di vista incentrato su internet. A volte il coraggio paga, ma non è questo il caso. La scelta di demonizzare la sorveglianza governativa e di ritrarre le big tech vittime passive finisce per annacquare il messaggio del film, che diventa più simile una pubblicità di quasi 90 minuti a brand come Amazon e Microsoft che vero uno spunto di riflessione.
Questo articolo è apparso originariamente su Wired US.