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Cuore Selvaggio, il cult che definì l’immaginario degli Anni Novanta compie 35 anni

da | Ago 17, 2025 | Tecnologia


In compenso chi di lì a poco si sarebbe confrontato con la macchina da presa e con un certo tipo di racconto cinematografico, parve sapere esattamente cosa stava guardando. Cuore Selvaggio fu immediatamente una stella polare: visioni, toni e atmosfere che sguardi ricettivi come quello di Quentin Tarantino metabolizzarono prima di subito.

La discussa Palma d’Oro

Il riconoscimento immediato della dimensione di Cuore Selvaggio si deve certamente a Bernardo Bertolucci, quell’anno presidente di giuria sulla Croisette, deus ex machina su una platea divisa tra standing ovation e fischi. Quanto all’avvenire del film, la metafora è quella di una Thunderbird in corsa. Per una generazione di cineasti Cuore Selvaggio rappresentò un apripista, l’innamoramento per un certo tipo di cinema. Quattro anni dopo sarebbe arrivato Natural Born Killers di Oliver Stone, a riproporre il topos degli amanti in fuga e border line. Nello stesso anno Cannes applaudiva un prodotto come Pulp Fiction, in questo caso senza riserve.

Barry Gifford, Lynch e lo spirito guida di Cuore Selvaggio

«David per il film voleva un happy ending, io non avevo da obiettare», ha raccontato recentemente a proposito dell’adattamento del suo libro Barry Gifford, intervenuto a Visioni Periferiche – Art & Film Festival. «Sailor e Lula sono l’incarnazione della purezza delle persone che impazzisce: cercano di andare oltre la violenza, e in una certa misura combatterla. Quello che li salva è l’amore».

Favola nera o noir di inaudita violenza, disturbante racconto di formazione e di deformazione, impattante e didascalico, un po’ di tutto e niente di questo: Cuore Selvaggio metteva in scena autenticità contro corruzione, tenerezza contro brutalità, un manuale di sopravvivenza a quello che il mondo è in grado di fare. A popolarlo, personaggi con nomi picareschi, anzi da fumetto per ragazzi, da bizzarro racconto orale attorno al fuoco: Sailor Ripley, Lula e Marietta Fortune, Bobby Peru, Perdita Durango.

Un selvaggio e spietato ritratto dell’America

E sullo sfondo il personaggio più ingombrante e interessante di tutti: un Paese in crisi d’identità, giovane e già invecchiato, lontano parente di un sogno che non ricordi tanto bene. «Cuore Selvaggio intendeva rappresentare l’America come un esperimento destinato a fallire, e mi sa che non mi sbagliavo di molto» ha aggiunto Gifford. «Nel film abbiamo cercato di andarne al cuore, i dialoghi sono rimasti quelli del libro. E sono dialoghi che sono dimostrazione di inquietudine, perché l’America è un posto inquietante, come l’attualità dimostra. Abbiamo provato a prendere questo marasma e a dargli un senso. Quanto eravamo sciocchi».

Un senso, almeno uno, fu quello di stravolgere Cannes e riscrivere le regole di Hollywood con un film da matti: un pulp infantile e libero, ingenuo e terribile. L’inizio shock, il surreale e favolistico finale, nel mezzo regole tutte sue, la dimensione onirica della libertà e quella decisamente concreta e mostruosa della violenza: tutto a bordo, in viaggio con due anime a loro modo speciali quanto banali, in un tempo e un Paese da decifrare, popolato di streghe buone e streghe cattive, nel solco quella storia che racconta che nessun posto è come casa. C’era solo da chiedersi quale effettivamente fosse casa, e se fosse fatta della stessa sostanza dei sogni.



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Scritto da Flavio Perrone, consulente informatico e appassionato di tecnologia e lifestyle. Con una carriera che abbraccia più di tre decenni, Flavio offre una prospettiva unica e informata su come la tecnologia può migliorare la nostra vita quotidiana.

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