Sullo sgombero del Leoncavallo il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, non può sperare di trincerarsi dietro le dichiarazioni di rito sulla “tolleranza zero verso le occupazioni abusive”. Deve spiegare l’urgenza di passare alle vie di fatto contro lo storico centro sociale di Milano il 21 agosto, quando l’uscita dell’ufficiale giudiziario era stata programmata per il 9 settembre. Deve spiegare perché l’amministrazione comunale di Milano non è stata informata, come afferma il sindaco Giuseppe Sala. Deve spiegare perché a questa improvvisa fretta verso il “Leonka” non si è accompagnata la stessa verso Casapound, che a Roma occupa abusivamente uno stabile da vent’anni.
Deve spiegare eccome, visto che si appella alla “legalità”. Perché questa operazione condotta alle 7.30 del mattino di un giovedì 21 agosto qualunque sa molto di una mossa politica giocata sulla pelle del centro sociale e della sua comunità in vista delle elezioni comunali milanesi del 2026. Da un lato perché mette sotto scacco la giunta del sindaco Sala e l’idea di trasferire il Leonka in un capannone di proprietà comunale in via San Dionigi a Milano. Dall’altro perché dello sgombero del Leoncavallo si potrà fregiare tutta la destra cittadina, ma in primis Fratelli d’Italia, che a luglio aveva incontrato Piantedosi proprio per discutere del destino del centro sociale.
E Casapound?
Il ministro invoca la linea dura del governo contro le occupazioni: “Dall’inizio del nostro mandato sono già stati sgomberati quasi 4mila immobili”. Se così fosse, ne dovrebbe dare pronta dimostrazione procedendo a far rispettare le regole anche al civico 8 di via Napoleone III, a Roma. Dove ha sede il movimento di estrema destra Casapound. Che a sua volta occupa lo stabile da circa vent’anni. Avrebbe così sanato le dimenticanze del suo predecessore al Viminale, quel Matteo Salvini che oggi su X festeggia lo sgombero del Leoncavallo dicendo che “la legge è uguale per tutti”, ma che quando è stato ministro dell’Interno contro il gruppo di estrema destra non ha alzato un dito. Vedremo se Piantedosi sarà conseguente alle parole che usa con tanta facilità sul Leoncavallo.
La destra gioca una partita facile sul centro sociale. E c’è da giurarci che userà ogni manovra a difesa del “Leonka” come strumento di propaganda politica contro la sinistra cittadina e contro un’amministrazione in difficoltà. Niente di nuovo sotto il sole. Però il contraddittorio non si può giocare solo sul “e allora Casapound?” Non parliamo di due storie equivalenti, sovrapponibili. Richiamata la politica alla consequenzialità delle sue dichiarazioni e delle sue azioni, occorre andare oltre. E riconoscere che il ruolo che il Leoncavallo ha nella storia e nell’attività culturale di Milano ha peso specifico.
Il coraggio della politica
Alla sinistra e all’amministrazione comunale tocca dunque la sfida più ardua: spiegare perché a Milano non possiamo lasciare il Leoncavallo senza un tetto. Il centro sociale, attraverso l’associazione delle mamme del Leoncavallo, ha presentato una manifestazione di interesse per trasferirsi dall’immobile che occupava dal 1994 in via Watteau, di proprietà della famiglia Cabassi, in quello comunale di via San Dionigi. Ma l’inchiesta sui permessi edilizi per nuove costruzioni in città che si è abbattuta a luglio sulla città ha paralizzato l’iter amministrativo.
Con una situazione precipitata, ora serve che alla razionalità della soluzione si unisca una volontà politica netta e nitida. Ci sarà che invocherà moderazione. Di temporeggiare. Invece è lo scatto simbolico che serve a Milano finita nel vicolo cieco che si è ritagliata tra grattacieli scintillanti, happy hour a prezzi da capogiro e una week da abbinare per ogni occasione. Dare casa al Leoncavallo, che il 18 ottobre compie cinquant’anni di vita, vuol dire preservare un pezzo di una Milano di cui non possiamo privarci. La memoria dei movimenti degli anni Settanta. La battaglia delle mamme del Leoncavallo. Il lungo elenco di artisti che hanno animato il centro sociale.
Il valore di quello che il Leoncavallo è stato ed è per Milano, al netto delle posizioni politiche, è ciò che deve unire nella costruzione di una fase tre del centro sociale, dopo la prima stagione nel magazzino affacciato su quella via di cui si è portato dietro il nome e i trent’anni nel quartiere Greco. Più dell’inchiesta sui grattacieli, sarà la capacità di gestire la partita del Leoncavallo a determinare che passo prenderà in futuro la città.