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Le accuse di Human Rights Watch
Perché allora Bruxelles non ha tradotto l’accordo Commissione europea-Israele in un atto politico? Claudio Francavilla dell’associazione non governativa Human Rights Watch, sentito al telefono da Wired, parla di “creduloneria, codardia e complicità”. Creduloneria, perché l’Unione continua a credere alle promesse di chi da quasi due anni affama la Striscia di Gaza e ignora sentenze della Corte internazionale di giustizia; codardia, perché persiste l’incapacità di definire “criminale” un’azione ormai qualificata da molti osservatori come genocida; complicità, perché diversi governi frenano ogni iniziativa concreta pur essendo pienamente consapevoli della gravità dei crimini.
La Germania, ricorda Francavilla, resta vincolata al concetto di Staatsräson, ossia la difesa incondizionata di Israele per ragioni storiche, sebbene l’opinione pubblica inizi a incrinarsi di fronte alle immagini quotidiane dalla Striscia. Lo dicono, ad esempio, recenti sondaggi. In Italia, invece, è il governo Meloni a giocare un ruolo chiave nel bloccare sanzioni o prese di posizione dure: il ministro degli Esteri Antonio Tajani (Forza Italia) ha dichiarato che Israele “non è un paese criminale e non ha compiuto crimini di guerra”, e tale linea si traduce in voti contrari in sede Ue e Onu.
Una scelta che, nota Francavilla, “non riflette né quella della grande maggioranza della popolazione, né è in linea con le opinioni sulla questione mediorientale storicamente espresse in Italia attraverso tutto l’arco politico, da Andreotti a Berlinguer, passando per Craxi. È un corto circuito sia democratico che storico, frutto della vicinanza di questo governo alle lobby israeliane”.
La passività europea
Dietro le resistenze europee (va ricordato che Italia e Germania sono in “buona” compagnia, con anche Ungheria, Repubblica Ceca, Austria, Bulgaria, Romania e Lituania che tendono ad avere posizioni più o meno ciecamente filo-israeliane) c’è poi la pressione statunitense – pressione che, con Trump alla Casa Bianca, si traduce in veri e propri ricatti e minacce; ma, osserva Hrw, anche le amministrazioni democratiche hanno garantito a Israele un sostegno strutturale, intreccio di lobby politiche (Aipac), sostegno evangelico e interessi militari.