È morto Robert Redford, il notissimo attore e regista americano, nonché uno dei più grandi numi tutelari del cinema indipendente. È mancato il 16 settembre all’età di 89 anni: “Robert Redford è morto nella sua casa a Sundance, nelle montagne dello Utah – il luogo che amava, circondato dalle persone che amava”, ha scritto in un comunicato ufficiale Cindi Berger, chief executive società di pr Rogers & Cowan PMK che lo rappresentava: “Mancherà grandemente. La famiglia richiede privacy”. Poche righe stringate, che non specificano le cause della morte ma ribadiscono quell’approccio asciutto e riservato che ha sempre caratterizzato la sua vita, nonostante fosse uno dei più grandi divi di Hollywood.
La carriera e i film di Robert Redford
Nato il 18 agosto 1936 a Santa Monica, in California, Redford aveva studiato arte e poi alla American Academy of Dramatic Arts di New York, iniziando la sua carriera negli anni Sessanta in diversi ruoli televisivi. Il debutto al cinema avvenne nel 1962 con Caccia di guerra, anche se il successo vero e proprio arriva nel 1967 con A piedi nudi nel parco e nel 1969 con Butch Cassidy accanto a Paul Newman (il titolo originale, Butch Cassidy and the Sundance Kid, contiene il termine “Sundance” così ricorrente nella sua vita). Tra gli anni Settanta e Ottanta recita in titoli divenuti fondamentali nella storia del cinema, come La stangata, Come eravamo, Il grande Gatsby, I tre giorni del Condor, Tutti gli uomini del presidente, La mia Africa. Passa anche alla regia di film come Gente comune (che nel 1980 ottiene quattro premi Oscar, tra cui alla miglior regia), Quiz Show, L’uomo che sussurrava ai cavalli, La leggenda di Bagger Vance, Leoni per agnelli.
Robert Redford e Mia Farrow sul set de Il Grande Gatsby nel 1974Silver Screen Collection/Getty Images
Il ritiro dalle scene e la creazione del Sundance Institute
Nel 2018 annuncia il suo ritiro dalle scene con il film Old Man & the Gun, anche se la sua ultima apparizione ufficiale è in Avengers: Endgame del 2019, dove riprende il ruolo del villain Alexander Pierce. Quella che non è mai cessata mai fino all’ultimo, però, è la sua carriera lontana dal set: già nella scelta dei suoi ruoli, quando ormai la sua fama era conclamata, pretendeva che ci fosse un peso culturale o sociale nei film che sposava, insofferente ai meccanismi puramente economici di Hollywood; nel 1981 fa un ulteriore passo avanti fondando il Sundance Institute (dal nome della località montana dello Utah che ha sempre amato), un’organizzazione no-profit con l’obiettivo di scovare, sostenere e produrre le voci più promettenti del cinema indipendente. Nel 1984 rileva il festival cinematografico che si svolgeva in quegli stessi luoghi trasformandolo nel Sundance Festival, a oggi uno dei più importanti appuntamenti annuali per i film che sfuggono alle logiche più commerciali.
Dalle fila del Sundance sono usciti registi oggi acclamatissimi come Steven Soderbergh (nel 1989 il suo Sex, Lies and Videotape fu una delle prime, grandi rivelazioni del festival), Quentin Tarantino, Ava DuVernay, Darren Aronofsky, David O. Russell, Ryan Coogler e Chloé Zhao; tra i titoli più acclamati lanciati qui ci sono Le iene di Tarantino appunto, e poi Little Miss Sunshine, Napoleon Dynamite, Whiplash, Get Out, nel contesto di una manifestazione filmica che è diventata negli anni sempre più popolare, raggiungendo gli 85mila spettatori nell’ultima edizione del 2025 (una crescita esponenziale che lo stesso Redford era arrivato a mal tollerare, soprattutto per l’intrusione di sponsor e star gettonatissime degli ultimi anni). Nonostante avesse sempre rifiutato l’etichetta di attivista, è indubbio che lui abbia dato un contributo enorme e non scontato per garantire la libertà e la pluralità dell’arte cinematografica, spesso promuovendo sceneggiature in cui si parlavano di diritti civili, tutela delle donne, cultura queer e in generale storie che altrove avrebbero faticato a trovare il loro pubblico.
La sua metamorfosi radicale è, per tutte queste ragioni, uno dei casi più eclatanti del cinema Usa: non un attore dal range ampissimo, aveva raggiunto una fama vastissima e indubitabile grazie alla sua intensità e alla sua bellezza tanto luminosa quanto spigolosa, sospeso tra boccoli biondissimi e mascella volitiva; quintessenza del divo hollywoodiano, rifiutò però di farsi inquadrare e cercò sempre suggestioni ulteriori, soprattutto cercando di lasciare le luci della ribalta per inseguire impegno e profondità dietro le quinte. I suoi sforzi civili, negli anni, hanno toccato anche l’ambiente, la salvaguardia dei Nativi americani, i diritti LGBTQIA+; storicamente di parte repubblicana, negli ultimi anni ha sostenuto candidati democratici come Obama e Biden, criticando la deriva “monarchica” di Trump. Il suo più grande contributo, in ogni caso, rimarrà quello per i film indipendenti. E ogni volta che preferiremo un piccolo titolo d’autore rispetto a un blockbuster, forse contribuiremo un po’ a protrarre quello che è stato il suo amore e il suo sogno più grande: il cinema libero.