Si può fare: il missile Burevestnik ha volato. Il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato il 26 ottobre il completamento dei test del missile da crociera a propulsione nucleare che avrebbe la capacità di eludere qualsiasi sistema di difesa occidentale. Il presidente russo, dal 2000 anche capo di stato della Federazione Russa, ha reso nota la notizia durante una visita a uno dei centri di comando delle forze armate, dichiarando che il missile – nome in codice Nato SSC-X-9 Skyfall – ha percorso 14mila chilometri in 15 ore di volo durante il test del 21 ottobre. L’annuncio arriva nel momento di massima tensione tra Mosca e Washington sulla guerra in Ucraina, dopo che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha cancellato il vertice previsto a Budapest (“non sembrava che saremmo arrivati a un risultato”) e imposto sanzioni alle due maggiori compagnie petrolifere russe, Rosneft e Lukoil. Intanto, da parte sua l’Ucraina continua a chiedere da mesi agli alleati occidentali sia i missili Patriots, sistemi di difesa antimissile americani per proteggere le città dagli attacchi aerei, sia i Tomahawk, missili da crociera a lungo raggio per colpire obiettivi militari in profondità sul territorio russo.
Un’arma per intimidire l’Occidente
Nonostante l’enfasi di Mosca, il missile Burevestnik non cambierebbe nulla sul campo di battaglia in Ucraina, perché si tratta di un’arma pensata per un altro scopo: colpire obiettivi strategici a migliaia di chilometri di distanza, e non per essere impiegata contro un paese confinante. In altre parole, è uno strumento di deterrenza nucleare, concepito per rendere inefficaci gli investimenti miliardari che Stati Uniti ed Europa hanno destinato, negli ultimi vent’anni, ai sistemi di difesa antimissile. Infatti, nel dicembre 2001, gli Stati Uniti abbandonarono il Trattato anti missili balistici del 1972, che limitava lo sviluppo di sistemi in grado di intercettare missili balistici strategici e garantiva l’equilibrio nucleare tra le superpotenze. La decisione americana aprì la strada alla costruzione di scudi antimissile in Polonia e Romania, dotati di radar e intercettori capaci di neutralizzare parte dell’arsenale russo. Per Mosca, questi sistemi rappresentavano una minaccia concreta, perché riducevano l’efficacia del deterrente nucleare e alteravano l’equilibrio che aveva garantito la stabilità durante la Guerra fredda.
Analisti militari americani intervistati da Reuters hanno sottolineato che il Burevestnik è diventato ancor più una priorità per il Cremlino da quando, a gennaio, la Casa Bianca ha annunciato l’intenzione di sviluppare lo scudo missilistico statunitense spaziale Golden Dome. Secondo quanto riferito dal Cremlino, il Burevestnik riuscirebbe a superare qualsiasi difesa occidentale. Gli esperti occidentali, tuttavia, rimangono scettici sulla reale efficacia dell’arma.
La potenza del missile Burevestnik
La vera minaccia del Burevestnik non sta nella potenza distruttiva, che è simile a quella di qualsiasi altro missile nucleare russo. La differenza è nel tempo di volo e nell’imprevedibilità dei suoi movimenti. I missili balistici intercontinentali tradizionali volano per circa 30 minuti seguendo traiettorie prevedibili, dando ai sistemi di difesa il tempo di reagire. Il missile Burevestnik, dotato di un piccolo reattore nucleare che genera energia continuamente, può teoricamente restare in volo per giorni o settimane, cambiando rotta e altitudine per confondere i radar. Putin aveva annunciato il progetto nel marzo 2018, definendola “un’arma invincibile”. Ma c’è un problema: molti analisti militari occidentali dubitano che la Russia abbia davvero risolto le enormi difficoltà tecniche di un motore nucleare volante. Un reattore abbastanza piccolo da stare su un missile, ma abbastanza potente da farlo volare per ore è una sfida ingegneristica mai superata prima, nemmeno dagli Stati Uniti che abbandonarono progetti simili negli anni Sessanta perché troppo pericolosi e inquinanti. Il Pentagono ha definito il Burevestnik “una minaccia strategica ma operativamente poco affidabile”, citando problemi irrisolti nel controllo del sistema di propulsione nucleare e rischi ambientali dovuti alle emissioni radioattive.
Dubbi sui test, ipotesi di propaganda
I dubbi degli esperti hanno però base solida: la storia dei test del missile Burevestnik, infatti, è un catalogo di fallimenti. Tra novembre 2017 e febbraio 2018, secondo l’intelligence americana, la Russia ha provato il missile quattro volte e solo un test è andato parzialmente bene. Gli altri tre si sono conclusi con il missile precipitato dopo pochi minuti. Poi è arrivato l’agosto 2019, quando cinque scienziati nucleari e due militari sono morti in un’esplosione durante il recupero di uno di questi missili caduto nel mar Bianco, in Artico. L’incidente ha provocato un picco di radioattività nella regione di Arkhangelsk, nel nord della Russia, seminando il panico tra gli abitanti di Severodvinsk. Mosca non ha mai ammesso ufficialmente che si trattasse del Burevestnik, ma Washington ha confermato che era proprio quel missile nucleare.
Il test andato a buon fine e il cui esito è stato annunciato in pompa magna da Putin sarebbe quindi il primo successo dopo anni di tentativi. L’agenzia di stampa Reuters ha intervistato otto esperti occidentali dopo l’annuncio di Putin i quali hanno messo in dubbio che il dispiegamento del Burevestnik modificherebbe significativamente l’equilibrio nucleare, citando i difetti di progettazione intrinseci a questo tipo di missili. Secondo gli analisti, il motivo e il timing dell’annuncio suggeriscono invece che l’annuncio di Putin serva soprattutto a rafforzare la posizione negoziale di Mosca nei confronti dell’Occidente.



