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Welcome to Derry, il tempo di It e il ritorno della golden age di Stephen King (che non smetteremo mai di amare)

by | Ott 28, 2025 | Tecnologia


Stephen King alla proiezione di It nella sua Bangor Maine.

Stephen King alla proiezione di It nella sua Bangor, Maine.

Scott Eisen/Getty Images

La golden age e l’estate di Stand by me

Del resto nei suoi anni, in quel personalissimo eldorado tra il 1958 e il 1963, Stephen King si è sempre mosso alla perfezione: un ragazzino in equilibrio su una staccionata, sul confine tra mondo dei piccoli e mondo dei grandi. Non sono in It: nel mezzo di quel quinquennio magico, King collocava un altro indimenticabile gruppo di ragazzi. Quelli di The Body, racconto della tetralogia di Stagioni diverse, poi diventato puntualmente iconica cinematografia con la trasposizione in Stand by me di Rob Reiner: declinata al cinema, probabilmente la sua opera più trasversale e plebiscitaria, indubbiamente tra le più amate. «Non ho mai più avuto amici come quelli che avevo a dodici anni», era l’ultima leggendaria riga della storia di quella brigata estiva di ragazzi del 1960, destinati a perdersi. «Gesù, e chi li ha?». E a proposito di racconti, nello stesso 1960 l’autore decise di ambientare Uomini bassi in soprabito giallo, il capitolo più riuscito, e non a caso battente ancora la bandiera del limite tra infanzia e adolescenza, di Cuori in Atlantide, uno dei suoi lavori più underrated, perla a suo modo fuori dal genere e dagli standard del Re.

Stephen King e l’ultimo salto temporale: 22.11.63

Più di recente Stephen King è tornato nella sua zona in modo differente, più maturo in molteplici sensi: 22.11.63, uno sci-fi che nel 2011 ha fatto gridare a un nuovo miracolo. Non si parlava di adolescenza ma di viaggi nel tempo, e attraverso la porta su retro di un bar il protagonista tornava, guarda un po’, nel 1958. Con l’obiettivo di salvare Kennedy. Il suo viaggio dell’eroe attraverso lo spazio-tempo portava ancora lì, in un’America diversa, più capace di incantarsi e spaventarsi, più congeniale, più familiare, La luce, la storia, la confidenza di King con i suoi anni prediletti, il suo paradiso -meglio, inferno– perduto, risultavano quelle di sempre, semplicemente brillanti, la confort-zone di una golden age benedetta. Fino alla fine, fino al finale: l’attentato di Dallas con tutto ciò che ha metaforicamente rappresentato, la fine dell’innocenza, la morte di un’infanzia americana. Lo spazio lasciato a incubi diversi, e decisamente meno confortevoli.

Stephen King e quel posto nel tempo perfetto

La provincia americana alla fine degli anni Cinquanta, la sua potenza evocativa, la sua aura, per usare un termine a lui caro: per Stephen King un posto speciale per riporci giovinezza, paure, aspettative, sogni. Persino quello, infantile nel senso più autentico della parola, di salvare JFK. Il sogno dei Sessanta dietro l’angolo Ed è lì che adesso torna It: restituito al suo mondo, alla sua spaventosa culla. Era ai bambini, ai suoi tre bambini per la precisione, che Stephen King si rivolgeva nella dedica al suo libro più ambizioso: «Ragazzi, il romanzesco è la verità dentro la bugia, e la verità di questo romanzo è semplice, la magia esiste».

E un’idea sopravvissuta per tutti questi anni è che buona parte di quella magia fosse nei pomeriggi assolati e nei pendii tetri nel sua cittadina immaginaria fermata in quel momento lì, pennellando la sua Derry. Non ritrovarla nella trasposizione di Muschietti era stato un piccolo shock, forse il solo motivo dell’espressione corrucciata con la quale l’abbiamo in questi anni (ripetutamente) consumata. Con It: Welcome to Derry l’universo infantile di Stephen King torna a casa. Magari non sarà proprio dolce, ma quale terrore d’infanzia lo è?



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Scritto da Flavio Perrone, consulente informatico e appassionato di tecnologia e lifestyle. Con una carriera che abbraccia più di tre decenni, Flavio offre una prospettiva unica e informata su come la tecnologia può migliorare la nostra vita quotidiana.

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