È difficile lungo la visione non pensare che se proprio lui, con tutto quello che ha vissuto, riesce a partecipare così tanto con ognuno dei personaggi, riesce a guardare con questa tenerezza gli altri iraniani, a capire i più violenti e cinici, allora chiunque altro è in dovere di fare lo stesso. È così attento e misurato questo film, che sembra realizzato con la cura e la perizia del fine artigianato, a non esagerare in nessun senso, così preciso nel delineare le psicologie e misurare le intenzioni per tenere un equilibrio etico e morale, fomentare un ragionamento e far ridere tutti non solo con le contraddizioni più esilaranti ma con quelle che sono anche più significative di quali domande occorra porsi, che non si può rimanere indifferenti.
Sono circa quindici anni che il cinema iraniano esporta alcuni dei migliori film realizzati nel mondo, grazie a quattro o cinque registi e sceneggiatori eccezionali, di cui Panahi è il capofila. Hanno ribaltato la maniera in cui si possono scrivere le storie, intrecciare i personaggi e insinuare dubbi nella testa dello spettatore, a partire dal più grigio dei contesti. Ora Un semplice incidente fa immedesimare tutti in una persona che cerca la sua vendetta e, nelle stesse scene, riesce a dire due cose opposte: quest’uomo ha subito qualcosa di così ingiusto da meritare vendetta, e questo buon uomo non riesce davvero a vendicarsi proprio perché in fondo il regime non l’ha reso una persona peggiore, l’umanità che ha dentro non la possono raggiungere. Riesce a far salire la rabbia contro il regime e, allo stesso tempo, a mostrare il suo unico esponente presente nella storia come un povero diavolo con una famiglia, come qualcuno a cui voler bene. È cinema che spinge gli spettatori verso il traguardo di essere persone migliori, solo ponendo le domande giuste.



