Bambini che scartano regali o provano prodotti, ripresi nella loro cameretta sponsorizzando qualcosa, tutto con il consenso, anzi la regia, dei genitori. Il fenomeno dei family influencer e il fatto che il genitore possa diventare anche il datore di lavoro di bimbi anche piccolissimi continua a sollevare riflessioni sulla tutela dei minori coinvolti. C’è chi prova, anche se in modo embrionale, a tracciare i bordi del fenomeno. È quanto fatto dalla ricerca “Protagonisti consapevoli? La tutela dei minorenni nell’era dei family influencer”, svolta da Terre des Hommes Italia insieme all’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) e all’ALMED (Alta Scuola in Media, Comunicazione e Spettacolo) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, con il supporto dell’avvocata Marisa Marraffino, esperta di diritto dei media digitali e la partnership tecnica di Not Just Analytics.
La ricerca
Analizzando 20 profili di family influencer e 1334 contenuti social per provare a capire come siano mostrati figlie e figlie, emerge come primo dato interessante che i bambini più esposti sono i più piccoli, quelli con un’età compresa tra gli 0 e i 5 anni (rappresentano l’80% del campione), uno stadio del processo evolutivo dove non si è in grado di esprimere il proprio consenso o comprendere l’uso che viene fatto della propria immagine. I minori appaiono in 1 contenuto organico su 2 e in 1 sponsorizzato su 4. In un terzo circa dei contenuti pubblicitari, i bambini e le bambine risultano essere parte attiva dell’advertising: ad esempio scartando il prodotto, presentandolo, lanciando la promozione: “Nella maggior parte dei contenuti in cui appaiono minori – si apprende dallo studio – non sono adottate forme di tutela della privacy per i più piccoli, ad esempio riprese di spalle, immagini pixellate o l’aggiunta di emoticon sul viso. Nei contenuti organici tali forme di tutela appaiono nel 7% dei contenuti; la percentuale si abbassa al 2% se si considerano i contenuti pubblicitari”. I contenuti dove si riscontrano situazioni potenzialmente problematiche rispetto alla privacy riguardano il 29% dei casi studiati e nel 21% sono mostrati momenti intimi come il bagnetto, il cambio del pannolino, la nanna: “Il genitore qui assume un doppio ruolo agli occhi del suo bimbo o della sua bimba – afferma Federica Giannotta, responsabile advocacy e programmi Italia Terre des Hommes -: è il papà o la mamma ma è anche il datore di lavoro e questo tipo di ruolo può diventare un fattore di rischio per il bambino nella decodifica del loro rapporto. Mi stai parlando perché dobbiamo fare un contenuto o perché sei il mio papà e stai svolgendo un ruolo di cura e accompagnamento? Questi bambini spesso vedono un’intrusione nei luoghi di protezione perché quel contenuto deve essere girato nella cameretta o mentre fanno merenda. Il bambino non è in grado di decodificare il messaggio e può perdere dei riferimenti e delle certezze importanti. Il fenomeno sta crescendo e si porta dietro una scia di minori che a nostro avviso vanno tutelati”.
Da quanto emerge dalla ricerca, inoltre, nel 6% dei contenuti il minore è coinvolto in trend o challenge e nel’1% dei casi il minore è colto in un momento critico che può essere rabbia, tristezza o difficoltà, senza contare che i prodotti per l’infanzia rappresentano solo il 12% di quelli sponsorizzati e non sempre la presenza di minori porta a un aumento dell’engagement (più visibile invece nei contenuti sponsorizzati rispetto a quelli organici)
Cosa fare se l’autoregolamentazione fallisce
Da tempo si chiede un intervento per normare le attività online che riguardano i minori, con posizioni spesso agli antipodi tra chi invoca il divieto come panacea di ogni male e chi invece cerca la soluzione nell’autoregolamentazione. Fino adesso però, nel concreto, altri Paesi, come la Francia, hanno adottato misure per la tutela dei minori che si trovano in queste situazioni mentre in Italia questo passo non è ancora definitivo: “Come avvocati ci troviamo davanti a un vuoto normativo e anche dove le leggi ci sono, spesso non vengono rispettate – commenta Marisa Marraffino, avvocata esperta di diritto dei media digitali – Mai come negli ultimi vent’anni, cioè dalla nascita dei social network, siamo di fronte alla situazione paradossale in cui i giudici si devono sostituire ai genitori. Sto parlando di tutte quelle situazioni che sarebbero evitabilissime con un po’ di cultura e coscienza collettiva. Facciamo un esempio: le fotografie dei minorenni non possono essere condivise se non c’è il consenso di entrambi i genitori. Questo principio basilare, spesso non riesce a passare, e anzi ci viene ripetuto ‘è un mio diritto farlo’. Eppure, dal 1989 esiste la convenzione di New York sui diritti del fanciullo, recepita anche in Italia e i minori hanno dei diritti sacrosanti, inseriti anche nella nostra Costituzione all’articolo 2: la riservatezza infatti è un diritto inviolabile della persona”. Da qui cruciale l’arrivo di una legge: “Siamo al punto in cui in Svezia un tribunale ha dovuto condannare una madre per molestie perché aveva fatto una challenge sbattendo un uovo in testa a una bambina di 5 anni. In Tribunale la donna si è difesa dicendo che lo facevano tutti. Da qui parte la degenerazione normativa, culturale, ed emotiva alla quale oggi purtroppo non c’è altro rimedio che fare una legge. La legge arriva quando la coscienza collettiva e l’autoregolamentazione hanno fallito“.
In attesa della legge qualche strumento esiste già: “Il Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale IAP abbraccia tutte le varie aree comunicazione commerciale – dice Vincenzo Guggino, segretario generale IAP – L’articolo 11 del Codice prevede che una cura particolare debba essere posta nei confronti dei messaggi che si rivolgono ai minori o che possano essere da loro ricevuti, assicurandosi che essi non contengano nulla che possa danneggiarli psichicamente, moralmente o fisicamente. Su questo fronte, lo IAP ha anche siglato un Protocollo di Intesa con l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza per una maggiore tutela dei minori. I nostro organismi di controllo indipendenti prevedono anche una forma di sanzione tempestiva per i messaggi pubblicitari non conformi che consiste nel bloccarli quando sono ancora in diffusione”.
Tra un disegno di legge fermo in Senato e i divieti
Il disegno di legge che prova a regolamentare la situazione (“Disposizioni per la tutela dei minori nella dimensione digitale”) è attualmente all’esame del Senato, anche se, come detto da una delle firmatarie, la senatrice dem Simona Malpezzi, al momento sta vivendo un momento di stallo. Il testo prova a equiparare il coinvolgimento dei minori nelle attività pubblicitarie e commerciali social dei genitori, alle altre forme di lavoro minorile ammesse dalla legge italiana. La tutela del minorenne prevedrebbe, ad esempio, che il contenuto dell’advertising fosse valutato e approvato dalla Direzione Provinciale del Lavoro, tenendo così conto del monte ore di lavoro, del ruolo rivestito dal minore e dalla tipologia di prodotto pubblicizzato: “Questo disegno di legge è bipartisan e ha un grandissimo valore, perché è stato costruito cercando di raccogliere tutte le adesioni trasversalmente – dichiara Malpezzi – Nonostante questo, siamo ancora fermi. Abbiamo presentato tutti gli emendamenti, ci siamo confrontati con la Commissione Europea, ci è stato dato un nuovo testo ma siamo fermi lì. Adesso tocca al Governo dirci se quelle cose vanno bene o no”. La lentezza della politica nell’applicazione delle decisioni al tempo di internet è plasticamente rappresentato da quella necessaria per mettere in pratica quanto previsto, ad esempio, dal decreto legge Caivano che, tra le altre questioni affrontate, ha imposto ai gestori di siti pornografici di verificare l’età dei suoi utenti, trovando soluzioni anche diverse dal semplice tasto che appare prima di accedere, facilmente aggirabile: “Questo emendamento, approvato nel 2023, è diventato attivo settimana scorsa” precisa Malpezzi, ovvero due anni dopo.



