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Com’è stato fare l’Interrail negli anni Novanta, senza social e senza smartphone (e con l’incubo traveller’s cheque)

by | Nov 10, 2025 | Tecnologia


Mi raccomando, chiamate almeno una volta alla settimana per favore’ così disse la madre della mia compagna di Interrail, Alessandra, poco prima della partenza. No, non eravamo figlie degeneri, semplicemente era l’estate del 1993. Non esistevano gli smartphone e nemmeno quei buffi antenati che erano i telefoni portatili, costosissimi sarcofagi impossibili da infilare in uno zaino riempito per un mese. Sì, un mese, l’Interrail durava così tanto perché il biglietto per salire e scendere dai treni (e traghetti) di tutta Europa era una cosa che andava sfruttata fino all’ultima stazione, all’ultima partenza, all’ultima destinazione.

Ovviamente non esistevano neanche i social. Il viaggio veniva immortalato da macchinette fotografiche e pellicole che poi andavano sviluppate. Non per fare la GenX brontolona (ma lo farò), ma si viveva assolutamente nel presente. Gli amici erano lontani, la famiglia anche. Contavano solo i compagni di avventura, quelli con cui si partiva e quelli che si incontravano per strada, contava lo zaino in cui c’erano vestiti e biancheria per un mese intero. E soprattutto contava quella borsina che si portava appiccicata al corpo, sotto la maglietta, che conteneva la cosa più preziosa di tutte, i traveller’s cheque. Eh sì, perché le carte di credito, satispay e compagnia bella non erano cosa. Ah e non esisteva neanche l’euro, quindi ogni paese aveva ancora la sua valuta. Appena si arrivava in un paese nuovo si correva a cambiare questi assegni speciali prestampati che venivano convertiti nella valuta nazionale.

Nel nostro giro (all’inizio eravamo tre ragazze poi il gruppo è aumentato strada facendo, un po’ come ne L’oca d’oro dei fratelli Grimm) siamo partite da Milano per arrivare a Monaco, abbiamo girato un po’ la Germania, poi siamo finite a Praga, poi a Budapest, poi a Cracovia, poi siamo tornate a Berlino, dove abbiamo dormito in un palazzo occupato con persone gentilissime che non facevano altro che offrirci vino & co., per virare verso Amsterdam, Parigi, una puntata in Belgio e poi tornando ancora in Germania. Erano giri un po’ schizofrenici ma era quello il bello dell’Interrail, ci si svegliava la mattina negli ostelli e si diceva “dove andiamo oggi?”. E le possibilità erano moltissime.

Gioie e dolori dell’Interrail

Tre ragazze in giro per l’Europa in treno, viaggiando spesso di notte per risparmiare sull’ostello e per ottimizzare i tempi. Una cosa che forse oggi farebbe molta paura. Ma avevamo diciotto anni, ci eravamo appena lasciate alle spalle quel piombo che era (ed è) l’esame di maturità, ci sembrava tutto bellissimo. Ci sono stati momenti in cui ci siamo spaventate? Momenti di difficoltà in cui ci siamo pentite per un secondo di non aver scelto un viaggio comodo e tranquillo? Sì. C’è stata quella volta in cui in un treno notturno da Amsterdam sono saliti i poliziotti con i cani, cercavano la droga. Hanno ispezionato tutti gli scompartimenti (non erano gentili), hanno sfondato la copertura del tetto del treno, hanno fatto un casino. O la volta in cui, sempre durante un viaggio notturno, abbiamo beccato un tizio polacco ubriaco fradicio che ha cercato di metterci le mani addosso e poi, quando ci siamo difese urlando, si è scusato tantissimo e ci ha regalato un disegno di una rosa (che ho conservato per anni). E che dire di quando abbiamo sbagliato fermata e siamo scese alle due del mattino in una stazione isolata in mezzo alla Polonia e siamo state salvate dal controllore che ha avvisato il treno successivo perché si fermasse e ci tirasse su?

Abbiamo dormito in ostelli bellissimi e ostelli tremendi, con gli scarafaggi che correvano appena accendevi la luce. Abbiamo dormito per terra, nelle cucine quando non c’era posto, una volta ci siamo addormentate vicino alla piramide del Louvre in pieno giorno e qualcuno ha pensato di lasciarci anche delle monetine. Tutto questo non è stato immortalato, non è stato immediatamente condiviso con amici e famiglia, è rimasto solo nella nostra memoria e nei nostri racconti quando siamo tornate, per chi aveva voglia di ascoltarli. Di quel viaggio a me è rimasta solo una foto, seduta in piazza Carlo a Praga fumando una sigaretta e guardando nell’obiettivo con un sorriso a trentadue denti. Sono dispiaciuta di non avere mille scatti nel mio telefono da guardare quando voglio ricordare? Non particolarmente. Sono passati più di trent’anni, ma posso tranquillamente ripercorrere le tappe di quel viaggio come se fosse ieri.

E sì, alla fine siamo state brave e abbiamo chiamato casa (dalle cabine telefoniche) almeno una volta a settimana.



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Scritto da Flavio Perrone, consulente informatico e appassionato di tecnologia e lifestyle. Con una carriera che abbraccia più di tre decenni, Flavio offre una prospettiva unica e informata su come la tecnologia può migliorare la nostra vita quotidiana.

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