La sensibilità al glutine è una condizione meno diffusa di quanto creduto. E spesso il glutine probabilmente non è il diretto responsabile del disagio accusato: è piuttosto un facile bersaglio, anche per colpa del marketing. Ma additare il glutine a colpevole, anche quando non lo è, rischia di peggiorare il trattamento di problemi alimentari. Sono questi, in sintesi, alcuni dei principali risultati che emergono da un ampio studio – in parte italiano – che ha passato in rassegna le evidenze in materia di sensibilità al glutine. Sono stati presentati sulle pagine di Lancet, insieme ad alcune indicazioni su come gestire al meglio la condizione.
Sensibilità al glutine e celiachia
Per capire cosa è la sensibilità al glutine è utile ricordare cosa sono il glutine e la celiachia, prima di tutto. Il glutine è una componente proteica contenuta in diversi cereali, come segale, orzo, grano, farro e prodotti derivati. La celiachia è una patologia, a base autoimmune, in cui l’organismo risponde alla presenza del glutine con una reazione infiammatoria che danneggia la mucosa intestinale, insieme a una quantità variabile di sintomi, quando presenti. I più noti sono quelli a carico dell’apparato digerente, con gonfiore, perdita di peso, dolori, ma possono essercene tanti altri ricordano dall’Istituto superiore di sanità, anche in sede extraintestinali.
La sensibilità al glutine (in inglese Non-coeliac gluten sensitivity, Ncgs) invece è una condizione diversa: pur senza essere celiache o allergiche al grano, le persone riferiscono di sentirsi male dopo aver mangiato cibi che li contengono e di stare meglio quando li eliminano. Anche se non di rado, sottolineano gli esperti, non si tende a eliminare solo il glutine, ma anche altre classi di alimenti che darebbero fastidio. I sintomi riferiti della sensibilità al glutine sono, come per la celiachia, variabili: dolori addominali, gonfiore, reflusso, nausea, urgenza di andare in bagno, flatulenza, diarrea, ma possono essere presenti anche mal di testa, fatica, rash cutanei. Malgrado se ne parli ormai da decenni, la sensibilità al glutine a oggi è ancora una condizione, scrivono i ricercatori su Lancet, piuttosto controversa. Perché?
Sensibilità al glutine: una questione “controversa”
“Mancano dati chiari e concordi sulla sua reale esistenza e frequenza”, spiega a Wired Carolina Ciacci, ordinario di gastroenterologia all’Università di Salerno e tra gli autori del nuovo studio: “Uno dei problemi è che le auto-diagnosi molto più frequenti dei casi verificati: circa una persona su dieci si definisce ‘sensibile al glutine’, cioè ha sintomi se mangia pasta, pane o pizza”. In alcuni paesi la prevalenza di sensibilità al glutine (e grano in generale) è altissima – come nel Regno Unito e in Arabia Saudita – è più comune tra le donne, e non di rado si accompagna a depressione, ansia e sindrome dell’intestino irritabile, ha sancito una recentissima metanalisi sulla condizione. Anche nella nuova review i ricercatori sottolineano la stretta correlazione con la sindrome dell’intestino irritabile. “Solo dal 16 al 30% di questi pazienti, a seconda dello studio esaminato, riconoscono davvero il glutine, quando cioè il paziente viene testato con due cibi identici, uno con glutine ed uno senza – riprende Ciacci – Mettendo tutti gli studi insieme, e quindi considerando la risposta di un più grande numero di pazienti, i pazienti con Ncgs non riescono a distinguere dai loro sintomi, in modo prevedibile e certo, se hanno mangiato glutine no”. Ma c’è di più, spiegano oggi gli esperti: alcune evidenze mostrano che i sintomi, intestinali ed extraintestinali, scompaiono quando si segua una dieta a basso contenuto di sostanze fermentabili, i cosiddetti Fodmap (Fermentable Oligosaccharides, Disaccharides, Monosaccharides And Polyols, ovvero oligosaccaridi, disaccaridi, monosaccaridi fermentabili e polioli ), spesso presenti negli stessi alimenti ricchi di glutine. “Oppure le persone sono spesso vittima di un effetto ‘nocebo’, cioè dall’aspettativa negativa dell’arrivo dei sintomi, che infatti compaiono con o senza glutine”, riprende l’esperta.
Il contributo del “cervello” ai sintomi intestinali
Ma qui bisogna fare attenzione, puntualizzano gli esperti: questo sottolinea quanto siano strette le relazioni tra intestino e cervello, e non smentisce l’esistenza dei sintomi. “Riconoscere questo contributo psicologico non significa che i sintomi siano frutto dell’immaginazione. Quando il cervello prevede che un pasto possa causare danni, le vie sensoriali intestinali amplificano ogni crampo o sensazione di disagio, creando un disagio autentico – aggiunge in merito da The Conversation Jessica Biesiekierski dell’Università di Melbourne, prima autrice del nuovo studio – Questo aiuta a spiegare perché le persone rimangono convinte che la causa sia il glutine, anche quando studi in cieco dimostrano il contrario. I sintomi sono reali, ma il meccanismo è spesso guidato dalle aspettative piuttosto che dal glutine”. Allo stesso modo è reale il benessere che si sperimenta dopo avere eliminato il glutine dalla dieta, prosegue Biesiekierski: non solo perché eliminando il glutine si eliminano spesso anche gli alimenti fodmap ritenuti tra i responsabili dei sintomi, ma anche per gli effetti (compresi quelli psicologici) derivanti da un maggior controllo sull’alimentazione.
Il ruolo del marketing
Accanto alle difficoltà diagnostiche – ad oggi di fatto non esiste un test per la Ncgs, a differenza della celiachia, e la diagnosi avviene per esclusione, ricordano gli esperti – il quadro è controverso anche per l’ingerenza del marketing. “Negli ultimi anni il mercato dei prodotti ‘senza glutine’ è cresciuto enormemente, spinto da campagne pubblicitarie che presentano questi alimenti come più sani anche per chi non è celiaco – prosegue Ciacci – Questo ha alimentato la percezione che il glutine sia nocivo per tutti, inducendo molte persone ad auto-diagnosticarsi una sensibilità e a eliminare il glutine senza una reale necessità medica”. E non senza possibili conseguenze per la salute – con il rischio di diete sbilanciate e carenze nutrizionali – per il portafogli (i cibi senza glutine costano mediamente di più degli altri) e la qualità di vita, stressano gli autori.
Come affrontare la sensibilità al glutine nella pratica
Se la situazione è così controversa, come comportarsi di fronte ai casi di sospetta sensibilità al glutine? Cosa consigliare a chi convive con questa condizione? “La Ncgs è una condizione reale per alcuni pazienti, ma spesso sovrastimata e mal definita – ribadisce Ciacci – Serve più rigore scientifico e un approccio clinico equilibrato”. Ad oggi, l’approccio che i ricercatori consigliano nella gestione della condizione è questo: diagnosi per esclusione con interventi dietetici ad hoc (come esclusione e reintroduzione graduale del glutine), consulenza non solo con medici, ma anche con nutrizionisti e psicologi se necessario. Sul trattamento, Ciacci e colleghi invitano anche a considerare strategie alternative alla totale eliminazione del glutine, per esempio riducendo il consumo di alimenti Fodmap, fortemente sospettati di scatenare i sintomi.



