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Quanti lobbisti del fossile ci sono alla Cop30? Troppi, solo la delegazione del Brasile è più numerosa

by | Nov 15, 2025 | Tecnologia


Belém, Brasile – Ci sono più di 1.600 lobbisti del fossile alla Cop30, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite che quest’anno si tiene a Belém, alle porte dell’Amazzonia. L’analisi è della Kick Big Polluters Out, la coalizione a cui si riferiscono numerose ong.

Secondo l’analisi, quella che potremmo definire “la delegazione delle fonti fossili” supera di gran lunga quella di qualunque paese alla Cop per numero di badge. Solo il Brasile, che organizza e ospita l’evento, ne ha di più (3.805). Non è una novità, certo, ma la tendenza non sembra nemmeno rallentare. Anzi, 1 partecipante su 25, dicono i dati, sarebbe legato al mondo dell’oil&gas, responsabile di una porzione importante delle emissioni di gas serra a livello globale. In proporzione al numero totale di partecipanti, quest’anno si sarebbe registrato un aumento del 12%. “È la concentrazione più alta da quando conduciamo l’indagine”, scrive Kbpo, che definisce “soverchiante” la presenza del settore degli idrocarburi a Belém. Secondo il resoconto, i lobbisti del fossile avrebbero ricevuto due terzi dei pass in più rispetto ai paesi meno sviluppati.

I lobbisti del fossile alla Cop30 si muovono dietro le quinte

Come già sottolineato da altri rapporti, le associazioni di categoria “restano un veicolo primario di influenza, imbarcando delegati da giganti come TotalEnergies e Bp. L’accesso ai luoghi dove si discute informalmente resta il problema principale. Secondo la coalizione, circa 599 lobbisti del fossile potrebbero entrare nelle sale negoziali grazie al badge Party overflow, una zona grigia che nemmeno il giro di vite degli scorsi anni è riuscito a illuminare. Per party, in questo contesto, si intendono i paesi. Possedere questo distintivo significa essere parte delle delegazioni nazionali. La Francia ne ha portati 22 (di cui cinque da TotalEnergies, incluso l’amministratore delegato Patrick Pouyanné); il Giappone 33, tra cui rappresentanti della Mistsubishi Heavy Industries e di Osaka Gas. La Norvegia, dal canto suo, si ferma – si fa per dire – a 17, inclusi sei dirigenti del gigante petrolifero Equinor. Le pressioni della società civile hanno fatto sì che da quest’anno, per la prima volta, sia stato necessario dichiarare la propria affiliazione, oltre a dare conferma che gli obiettivi individuali sono allineati con quelli della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc) che organizza le Cop dal 1995. Se, da una parte, il tentativo ha senso, dall’altra è innegabile che l’influenza delle big corporation si somma a quelle degli Stati ostili alla transizione energetica, rallentando il processo.

La Cop30 è diventata una piattaforma per il greenwashing aziendale”, dice Ranjana Giri della Asia Pacific Forum on Women, Law and Development (Apwld). “Cop dopo Cop, i numeri parlano da sé”, aggiunge Nathalie Rengifo Alvarez della Campaña Que Paguen Los Contaminadores América Latina. “La Cop30 non è più una conferenza delle parti, ma di inquinatori”, rintuzza Pascoe Sabido, di Corporate Europe Observatory.

E l’Italia?

Per l’Italia col badge party overflow ci sarebbero rappresentanti di Acea SpA, Edison, Enel. Ai negoziati sul clima di Belém, con il badge riservato alle organizzazioni non governative, sono presenti due persone affiliate alla Fondazione Eni Enrico Mattei.



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Scritto da Flavio Perrone, consulente informatico e appassionato di tecnologia e lifestyle. Con una carriera che abbraccia più di tre decenni, Flavio offre una prospettiva unica e informata su come la tecnologia può migliorare la nostra vita quotidiana.

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