Toro Scatenato di Martin Scorsese è uno di quei titoli cinematografici capaci di reggere al passare del tempo, all’evoluzione del linguaggio cinematografico, del pubblico. A 45 anni dalla prima in sala, il 14 novembre 1980 nella Grande Mela, il biopic dedicato al Toro del Bronx non è semplicemente un film sportivo tout court, ma un’analisi impareggiabile sulle contraddizioni della società americana, sul carico di violenza che essa continua ad abbracciare senza posa.
Un film nato per mera necessità di sopravvivenza
Toro Scatenato è entrato di diritto nel mito cinematografico, non solamente americano. A tanti anni di distanza, ciò che Martin Scorsese fu capace di concepire su set, rimane un punto di riferimento assoluto, per ciò che riguarda soprattutto la capacità di connettersi ad un genere e assieme di aggirarlo, se non addirittura rinnegarlo. Fare un film su Jake LaMotta non sembrava una grande idea, almeno in quel finire di anni ‘70, sicuramente non dopo che un certo Sylvester Stallone aveva creato Rocky. Un film su un pugile italoamericano che cercava il riscatto dalla povertà e dall’abbruttimento? Già è stato fatto. Così si sentì rispondere Robert De Niro quando propose a Scorsese di creare un film sul Toro del Bronx, dopo averne letto la biografia ed essere rimasto affascinato da ciò che vi aveva scorto dentro. Martin Scorsese odiava lo sport, odiava la boxe, disse subito di no, non gli interessava. Toro Scatenato vide la luce per un semplice motivo: Martin Scorsese per poco non morì.
Nel 1978 era tallonato dalla tossicodipendenza, andò in overdose, poco mancò che gli risultasse fatale. De Niro lo andò a trovare in ospedale, qualcosa scattò nella teste di Scorsese, quando l’amico gli chiese ancora una volta di leggere quella storia, di andare oltre l’apparente semplicità della cronaca di un pugile finito. Martin Scorsese pensò che sarebbe stato il suo ultimo film forse, inquadrò il tema della redenzione, della lotta contro sé stessi, dell’autodistruzione che quella storia recava con sé. Decise di dedicarcisi anima e corpo. Il risultato, a 45 anni di distanza, è ancora indicato come uno dei più grandi film della storia americana e non solo. Jake LaMotta diventò un protagonista del ring in un tempo in cui essere italoamericani significava essere gli ultimi della fila, anche sospettati di non essere fedeli alla nazione, ora che gli Stati Uniti erano in guerra con l’Italia fascista. Da decenni avevano poche alternative: fare l’operaio, il tassista, il cuoco, il gangster oppure salire su un ring.
Toro Scatenato fin dall’inizio verrà impreziosito da un bianco e nero geniale e sfavillante, un 8 mm di Michael Chapman con cui cercare di donare realismo e allo stesso tempo lirismo alla storia di questo figlio di New York. Robert De Niro si sottoporrà ad una trasformazione fisica assurda, perdendo e poi mettendo su chili in modo scioccante per essere credibile nelle diverse fasi della vita di LaMotta, che incontrerà in diverse occasioni, per studiarne movenze, quell’accento, la personalità. Al suo fianco, De Niro vorrà per interpretare Joey LaMotta uno sconosciuto attore visto in televisione anni prima, che non lavora da tempo e sta sbarcando il lunario in un ristorante del New Jersey. Joe Pesci si rivelerà l’altra carta vincente di Toro Scatenato, i due per la prima volta daranno via a quella diade che farà la storia del cinema. I loro dialoghi, le loro interazioni, Scorsese li cesella con un carico di verosimiglianza a cui si sovrappone la ricerca di una drammaticità estrema, tramite una regia opprimente, claustrofobica quasi.
Cathy Moriarty, anche lei sostanzialmente sconosciuta, si rivelerà perfetta per interpretare Vickie LaMotta, la seconda moglie del pugile. La sceneggiatura nascerà in modo complicato, Mardik Martin verrà sostituito da Paul Schrader, e donerà a Scorsese e De Niro abbastanza materiale per convincere la United Artists a dare il via. Toro Scatenato diventa nella mani del regista newyorkese un inganno meraviglioso e perfetto, apparentemente si offre al pubblico la storia di un pugile mitologico, ma per Scorsese quel film è una metafora della vita, quella americana, di chi ha creduto a quella bugia che si chiama American Dream. Quel sogno proprio Rocky pochi anni prima l’aveva riportato in auge ma Martin Scorsese in Toro Scatenato lo distrugge completamente, con una quantità di violenza e rabbia semplicemente soffocanti. Il paradosso è che il protagonista cerca con ogni mezzo di ottenere una rivalsa, una rivincita, ma non riesce a staccarsi dalle sue paranoie, dal puzzo della strada.
Un ritratto feroce e dolente di un’anima spezzata
Siamo nei primi anni ’40, Jake è un peso medio promettente, ma la sua carriera appare condizionata dalla Mafia, da bosso Tommy Como (Nicholas Colasanto), da chi cerca di truccare i suoi incontri. Il titolo di Campione è il sogno di LaMotta, è ciò che lo motiva, lo spinge a distruggersi in palestra e sul ring, con al suo fianco sempre il fratello Joey. Intanto conosce quella ragazzina di 15 anni, è sicuro che sia quella giusta, la sposa. E così comincia un incubo. Per Scorsese la vera lotta di LaMotta sarà sempre fuori dal ring, lì dove non è minimamente preparato ad affrontare le proprie insicurezze, la paura di essere abbandonato e tradito, la sua incredibile ignoranza e incapacità di esercitare un minimo di empatia. Dentro il ring è un Toro Scatenato, una macchina distruttrice. Scorsese si recherà dal vivo al Madison Square Garden per assistere a dei veri match, e benché lungi dall’essere verosimile nella rievocazione dei combattimenti, Toro Scatenato è capace di imprigionarci dentro quelle corde.




